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Caro dottor Melis...
venerdì 21 gennaio 2005
Caro Dottor Melis, non so immaginare se la forma di questo resoconto sul nostro recente Tour des Tours, con il “Gruppo dei Professori” svoltosi - grazie a voi - in alcuni tra i luoghi più rappresentativi ed enigmatici della Sardegna, possa essere adeguato a quel che le serve.
So però qual era all’inizio, al momento di metterla in cantiere, il fine di quest’altra Faticaccia d’Ercole: attirare l’attenzione e le analisi di una task force internazionale di antichisti su questa nostra isola davvero misteriosa, un’isola dai primati strabilianti (datati II millennio a.C.) che poi, però, nel millennio successivo diventa terra di abbandoni e di conquista.
Ebbene sono lieto di garantirle che quell’obiettivo che mi ero posto è stato raggiunto: ognuno dei dieci partecipanti (tutti docenti universitari, archeologhi, operatori culturali) è poi ripartito con una gran voglia di approfondire, di saperne di più, di avviare ricerche mirate, di mettere in cantiere dei gruppi di studio, di entrare a far parte di un progetto multisciplinare che - se Dio vuole, e la Sardegna pure - aprirebbe un capitolo inedito nella storia archeologica dell’Isola.
Tutta una serie di iniziative di ricerca e divulgazione potrebbero riportare non solo la Sardegna in mezzo al Mare degli Antichi ma anche farla tornare protagonista nei libri di storia del Mediterraneo. Una grande operazione culturale - di cui la Zingarata rappresenta il varo - che potrebbe addirittura restituirci alcune delle prime pagine del nostro album di famiglia: dentro c’è, vivo e vero, l’antichissimo Mediterraneo delle Cento Etnie e delle Mille Storie, com’era prima che le mappe alessandrine lo criptassero con disinvolti adeguamenti cartografici dovuti al progredire delle conoscenze.
Ci siamo venuti - in équipe, per un vero e proprio sopralluogo, tutti insieme - in Sardegna: per confrontare opinioni e verificare se quest’isola dalle 10 mila torri, al di là delle Colonne di Sicilia, era in grado di reggere la parte che Platone - nella sua“fiaba” su Atlantide - attribuiva all’Isola Mito dell’Occidente che osò attaccare l’Egitto.
Il gruppo era composto da Sapienti veri.
Mario Lombardo dell’Università di Lecce, a un certo punto: «Qui c’è tutto! Ma è prima...“.
Queste sue sette parole mi hanno ripagato in un colpo solo di quattro anni di fatiche dedicate a Ercole, alle sue Colonne pellegrine, all’Isola che ci sta a cuore.
E sì, perché a pronunciarle - mentre passavamo da un nuraghe al suo pozzo sacro e poi al bacino artificiale che 3300 anni fa dissetava un intero insediamento, a Sant’Antioco/Sulkis - era stato proprio Mario Lombardo, uno dei più stimati grecisti che abbiamo.
Un “Canfora”, ma per di più archeologo.
Gran bel gruppo - tutt’insieme, ognuno con il suo sapere specialistico e complementare a quello degli altri - per questa “Prima Zingarata dei Sapienti” in Sardegna, con me che ascoltavo, imparavo. E a godermi la Sardegna del III e II millennio a.C. messa lì, in gran parte intatta, a farsi ammirare con tutti i suoi primati temporali e quantitativi e con mille reperti mai indagati del tutto che, però, la gemellano all’Anatolia insieme ai suoi dna, all’Africa dei Lebu, alla Spagna di Gerione e dei megaliti, ai Baschi dai costumi identici, alla Bulgaria che aveva Sardica a far da capitale anche se oggi si chiama Sofia e pozzi identici a quelli antichissimi che dissetavano l’isola, alle Cicladi con madonne identiche.
La Sardegna con i suoi Padroni di Casa - solo quelli che sono all’altezza della Casa, però... - si è mostrata fantasticamente disponibile a farsi capire.
Lo ha fatto attraverso i loro racconti.
Assente giustificato il Grande Vecchio (Giovanotto) dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu, il nostro grazie va a Enrico Atzeni, ad Alberto Moravetti, a Raimondo Zucca, a Marco Massa, a Nicola Porcu, a Remo Forresu, ad Antonio Ibba, a Peppuccio Garau, a Sergio E. Arba, a Ubaldo Badas. E, a Tore Sanna, Gherardo Gherardini, Mauro Meli e Roberto Frongia “padrini” dell’iniziativa. Grazie.
Grazie a tutti loro le pietre si son messe a parlare.
Alla fine - come in una comunissima Sindrome di Stoccolma - eravamo tutti un po’ più innamorati di quest’isola che ci aveva sequestrato per una settimana. Del resto era appena successo a Mario Tozzi, gran geologo Cnr, giramondo e serissimo divulgatore tivù: lui ci aveva preceduti con la sua équipe e gli elicotteri per un check-up geologico dell’isola che, poi, sei milioni di persone hanno visto in tivù.
Ne è ripartito anche lui con la stessa voglia che, ormai, abbiamo tutti: continuare con le ricerche, aprire porte e finestre, portar qui in Sardegna le università del mondo con i loro migliori specialisti, trasformare la Sardegna in un cantiere-laboratorio che permetta di riunire genti, sapienze e conoscenze alle grandi professionalità anche giovanili che l’isola offre.
Trattarla bene, insomma, la Sardegna: come proprio l’Unesco ci può aiutare a fare con i suoi consigli e con il seminario internazionale sulle “antichissime novità” mediterranee che il suo direttore culturale, Mounir Bouchenaki, sta progettando per ragionare sulle tesi del mio libro.
Insomma: è appena riapparsa un’isola in mezzo al Mare d’Occidente.
Un’isola che sconquassa con la sua sola possente presenza archeologica ogni certezza storiografica.
Era scomparsa dalla Storia, criptata dalla Geografia.
Era un’isola reale ma senza nome, la Sardegna del II millennio a.C., persa nel Far West dei Greci più antichi.
Ed era un’isola con un nome mitico ma senza nessuna realtà geografica, l’Isola di Atlante e di Platone, persa nel Far West dei Greci più antichi.
Fossero davvero queste, le due facce, le due storie della stessa isola - come ormai mille e mille indizi ormai fanno sospettare - sarebbe l’anello che mancava per ricomporre la lunga catena della nostra Prima Storia.
Non lasciamocelo sparire di nuovo sotto i due milioni di metri cubi di cemento vagheggiati da chi non la ama davvero.
Sergio Frau