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Appunti, sorprese, notazioni: le radici di quel che conosco, di Mario Lombardo
venerdì 21 gennaio 2005
«Qui c’è tutto! Ma è molto prima...». Questa sgrammaticata e, certo, approssimativa considerazione sintetizza l’impressione complessiva che io, sostanziale neofita - della Sardegna conoscevo, e da poco, solo alcune zone dell’area settentrionale (Sassari, Alghero, Monte Sardo, Santa Teresa di Gallura e poco altro, tra cui il nuraghe di Santu Antine che però mi aveva davvero impressionato - ho ricavato dalla straordinaria esperienza del “viaggio culturale” nella Sardegna nuragica e pre-nuragica, ideato da Sergio Frau.
Una vera e propria immersione full time in un mondo del tutto nuovo e diverso rispetto agli orizzonti storico-culturali e ambientali da me di solito frequentati come studioso del mondo antico, e in particolare dell’espansione dei Greci, e della loro cultura, nel Mediterraneo del primo millennio a.C. Un mondo, tuttavia, in cui ogni giorno mi sembrava di scorgere aspetti e problemi in qualche modo “familiari”, ma proiettati indietro nel tempo - IV, III, II millennio a.C. - come “precedenti”, se non “radici”, di fenomeni culturali dell’orizzonte storico a me più noto: dalle straordinarie testimonianze archeologiche sui rituali funerari (tombe dei giganti, domus de janas, etc) a quelle ancor più sorprendenti, per qualità e quantità, sulle esperienze insediative “nuragiche”, basate sulla “forma architettonica” della tholos, ma che trovano espressione in una quantità incredibile di strutture più o meno articolate e complesse - talora di straordinaria complessità, come nei casi di Barumini o Santu Antine - la cui distribuzione nel territorio si presenta come un caso ideale per l’applicazione sistematica di metodologie di analisi spaziale, capaci di farcene cogliere meglio gerarchie e funzioni.
Nel contempo, come storico - si sa che per lo storico la cronologia definisce, insieme alla geografia, la trama di fondo per inquadrare e comprendere correttamente eventi, vicende e processi storici e culturali - avvertivo ogni giorno di più, dalla visita al Museo di Cagliari a quelle a Barumini e a Tharros, come un disagio di fondo riguardante i sistemi di riferimento in base ai quali risultavano datate, in maniera peraltro non sempre coerente né precisa, le varie fasi delle civiltà sviluppatesi nell’isola, dall’età pre-nuragica a quella post-nuragica. Sistemi che mi sembrano intrinsecamente deboli e viziati da una sorta di autoreferenzialità che affonda le radici nella storia stessa della ricerca storico-archeologica sulla Sardegna preistorica e protostorica, sviluppatasi originariamente in una dimensione di sostanziale isolamento rispetto al panorama complessivo degli studi sulle civiltà e le culture preistoriche e protostoriche del Mediterraneo. Credo che uno dei principali obiettivi a cui si dovrebbe puntare per un’adeguata comprensione, ricostruzione e valorizzazione delle straordinarie testimonianze archeologiche di orizzonte preistorico e protostorico presenti in Sardegna, sia proprio quello di avviare e realizzare una serie di indagini sistematiche ex-novo su siti rappresentativi, condotte con le più aggiornate metodologie dello scavo stratigrafico, facendo ricorso alle moderne tecnologie di datazione e nel costante riferimento ai più ampi orizzonti delle civiltà mediterranee coeve.
Mi auguro davvero che queste schematiche notazioni, emerse dalla magnifica “zingarata sarda” - che mi ha permesso, tra l’altro, di condividere impressioni e riflessioni su tanti temi e problemi con colleghi esperti di altre discipline, condividendone l’entusiasmo per la Sardegna nuragica e i suoi enigmi, e di questo voglio ancora una volta ringraziare Sergio - possano in qualche modo contribuire a sollecitare quella mobilitazione di forze culturali, sociali e politiche che la valorizzazione delle straordinarie testimonianze archeologiche dell’isola richiede, e merita.