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Il "Caso Anfiteatro" all’origine di questa faida / Materiali d’archivio

venerdì 21 gennaio 2005

Contro gli scempi/ Un articolo di 10 anni fa che in Soprintendenza, a Cagliari, non lessero mai.

TESTATA: REPUBBLICA
DATA: 17/9/1995
PAGINA: 26
SEZIONE: CULTURA
OCCHIELLO: Teatro
TITOLO: IN TOURNEE INSIEME A ESCHILO
SOMMARIO: Sono oltre novecento gli spazi antichi per lo spettacolo. In loro
soccorso arriva un manifesto rivoluzionario. Oggi un convegno a Palermo
AUTORE: di SERGIO FRAU
TESTO:
"Vanno usati, certo. Ma con il cuore... Bisogna farli riposare,
curarli di continuo, stare attenti a chi ci mette mano...". E sì,
dopo una vita passata a studiare tragedie di duemila e cinquecento anni fa, Filippo Amoroso, docente di Drammaturgia antica a Palermo e coordinatore del convegno "Una Scena per Dioniso", ormai parla dei teatri greci e romani come di creature amiche. Li vede vivi, vulnerabili, ancora abitati dal drammaturgo che dà ordini e spiega bene ai suoi due, tre attori come affrontare una scena difficile in modo che il pubblico non gli urli dietro. Sa - e quando racconta sembra ieri - di quelle tournée di Euripide in Macedonia, di Eschilo in Sicilia, chiamato lì da Atene a scrivere le Etnee per la gloria di Gerone il ricco, tiranno di Gela, quello che a forza di vincere Olimpiadi con le sue quadrighe era diventato un mito per tutta la Magna Grecia. E bisogna vederlo, il professore, come soffre a snocciolare casi a riprova che troppe volte, finora, quei ’ suoi’ antichi spazi sacri vengono martoriati da gestioni "dissennate, ignoranti, ingorde". Un esempio per tutti? "Basta ricordare quando al Teatro greco di Siracusa vennero Dalla eMorandi con la loro scenografia kolossal. Il giorno dopo il teatro sembrava ferito a morte". Si rabbuia a parlare dei Pink Floyd a Pompei, di Caracalla com’ era ridotta, dei teatri antichi di Francia ormai tutti imbellettati e snaturati per funzionare a tempo pieno. Per farlo riaccendere bisogna tornare su quella Carta di Segesta che a tutti questi disastri potrà fare da antidoto. "Talvolta", dice, "non ci si rende più nemmeno conto di che macchine sceniche perfette siano ancor oggi questi teatri.
Acustica, luce del giorno che non ti infastidisce mai, posizione nel territorio e rapporto con il paesaggio circostante, sistemazione per il pubblico... C’ è da stupire di continuo. Ecco
perché, poi, mi arrabbio quando questa perfezione viene bombardata da riflettori e scariche di decibel. Questa sollecitazione del Consiglio d’ Europa obbligherà gli Stati a darsi una legislazione rigorosa che, almeno per il futuro, ci libererà da questi errori".
La Carta, infatti, invita a prendere provvedimenti con urgenza: finanziamenti per i restauri (e studi scientifici seri prima di realizzarli), collaborazione tra i Paesi, la formazione di squadre archeologiche specializzate e di nuove équipe tecniche per gli
allestimenti teatrali in tutti questi spazi "a rischio". "Fatti i conti", continua Amoroso, "vedrà che mettere in scena uno spettacolo in uno di questi antichi teatri costerà almeno ottovolte più che in uno spazio normale". E spiega: "In un anfiteatro un barattolo di vernice che si rovescia può voler dire giorni e giorni di lavoro con il solvente per ripulire la pietra. E non è detto che, poi, alla fine, tutto torni come prima...". Quanto alcuni punti contenuti nella Carta (soprattutto tra i precetti da rispettare) faranno discutere, non è ancora dato sapere. Sono ottanta tra archeologi, teatranti, studiosi, architetti e politici
i partecipanti al convegno. Certo si possono fare delle ipotesi: lì dove si parla di "sostituire materiali antichi con nuovi ritrovati moderni resistenti all’ inquinamento" forse ci sarà
qualche sovrintendente preoccupato che vorrà precisare meglio; o anche, da mettere in preventivo, la reazione della gente di spettacolo per quel diktat sulle scenografie che "non dovranno mai nascondere la leggibilità del teatro e tenere presenti le esigenze dei normali visitatori oltre a quelle degli spettatori".
Restauratori e architetti, poi, quanto e come risponderanno all’ appello di reinventare strutture mobili e leggere, innocue e comode per far bella la serata a chi a teatro ci va davvero? "Insomma", dice Amoroso, "resuscitiamo i nostri teatri per farli vivere, non per ucciderli di nuovo".
ECCO COME FUNZIONA LA CARTA DI SEGESTA
Circolari, semicircolari, a stella, ad anfiteatro, rurali. Quelli greci sono 167, 311 quelli romani, poi 89 gallo-romani. In tutto sono 901 gli spazi antichi per lo spettacolo arrivati fino a noi. Settecentocinquanta nel bacino del Mediterraneo, un centinaio arriva su nel nord della Francia e della Spagna, in Egitto, in Afghanistan, in Macedonia. Qualcuno, ormai, dimostra tutta la sua età, altri (una cinquantina) sono ben conservati, ma rischiano brutto con le città che avanzano, l’incuria che monta e i festival estivi affamati di spazio. Per
tutti, da mercoledì prossimo - al termine di un convegno lungo quattro giorni ("Una Scena per Dioniso") che apre oggi e si svolge con mostre e dibattiti tra Palermo e Trapani - ci sarà una protezione in più: la Carta di Segesta, un impegnativo manifesto promosso dal Consiglio d’ Europa che propugna restauro, tutela e corretto riutilizzo per gli antichi teatri del Mediterraneo e d’Europa. La Carta, con la sua approvazione, diventerà Direttiva comunitaria e darà il via a un nuovo organismo internazionale.

TESTATA: REPUBBLICA
DATA: 06/08/1999
PAGINA: 21
SEZIONE: CRONACA
OCCHIELLO: Capo Malfatano, storia di uno straordinario porto punico da 400
navi che nessuno può scavare. Le nuove scoperte tra Tharros e
Nora, le capitali sarde della civiltà fenicio-punica TITOLO: Quella Cartagine sarda due metri sotto il mare. Muraglie sommerse
lunghe centinaia di metri. E poi strade, magazzini, un tempio. Ma
i soldi per studiare il mitico scalo di Melqart non ci sono
SOMMARIO: Centinaia di anfore ancora piene di cibo nello stagno di Santa
Gilla
AUTORE: dal nostro inviato SERGIO FRAU
TESTO:
TEULADA (Cagliari) - Persino per parlarne c’ è bisogno di tutto il
Mediterraneo. La grande rada si spalanca improvvisa nel granito
della costa sud-occidentale, subito dopo uno sperone di roccia
strapiombato a mare che gli arabi battezzarono Amal Fatah ovvero
il luogo della Speranza. Oggi si chiama Capo Malfatano. La prima
Africa, quella dei sassi belli di Cartagine, è lì davanti, proprio
in faccia, a 100 miglia marine verso sud, dritto per dritto 24 ore
di vela se il mare è quello giusto. Il vento di qui è il grecale.
Talvolta, però, pure lo suluk-scirocco vi si alterna al
mistral-maestrale. Nei suoi fondali sabbiosi l’ acqua sballotta
una prateria di poseidonie che - solo si è davvero dell’ umore
giusto e in pace con il mondo intero - sembrano danzare per te.
Basta una maschera, e saper nuotare anche così così, per vederle
otto nove metri sotto di sé. A interrompere la spianata sommersa
- tutta sabbia tranquilla, alghe e zig zag di pesci mezzi matti -
c’ è una colossale muraglia formata da pietre giganti. Te la trovi
sotto la pancia a un metro e mezzo, due sotto il filo dell’ acqua
e, se non fosse per tutti quei ricci che la fanno a pois, nei
punti più alti ci si potrebbe appoggiare con i piedi a prender
fiato e sputare nella maschera per farla nitida. A seguire il
muraglione si va avanti, nuotandoci sopra, per una novantina di
metri fino alla riva. E - solo perché te l’ hanno detto - ti
accorgi che molti di quegli scogli sono squadrati, o sagomati a
incastro, o ancora sovrapposti ad arte uno sull’ altro. Molti di
quelli degli strati più alti devono essere stati sbattuti giù da
onde e millenni; gli altri sono ancora al loro posto, compatti l’
un l’ altro. Dalla sponda opposta, simmetrica, un’ altra muraglia
giganteggia dal fondale per 110 metri finquando non si blocca per
lasciare un varco di 240 metri di acqua alta libera, e solo sabbia
sotto: l’ accesso alla spiaggia della rada che è due chilometri e
mezzo più in là. "Potrebbe essere il Porto di Melqart, l’ Ercole
dei Cartaginesi. E’ comunque la più grande struttura portuale
antica che il Mediterraneo ci abbia mai restituito finora. Anche
le antiche carte di Tolomeo parlano di un Portus Erculi proprio da
queste parti e certo non è una coincidenza", spiega Paolo
Bernardini, archeologo della Soprintendenza che, appassionato
specialista dell’ avventura fenicio-punica in Sardegna, la zona se
l’ è studiata per bene. E prosegue: "Dentro c’ entravano,
ormeggiate, anche 400 grandi navi. Poteva essere proprio questa la
base d’ oltremare per la flotta militare cartaginese che da qui -
e da Utica e Cartagine, proprio di fronte, sulla costa tunisina -
bloccò a tenaglia il traffico con il Mediterraneo occidentale fino
all’ ultima guerra punica, quella del 146 avanti Cristo con cui i
Romani sfondarono fino a Gibilterra". Nicola Porcu, da anni
ispettore onorario della stessa soprintendenza per i suoi meriti
di ricercatore subacqueo, che questo colossale porto ha scoperto,
aggiunge: "Chi arrivava qui era finalmente al sicuro e, certo,
faceva sacrifici proprio a Melqart, il dio che proteggeva i viaggi
per mare. Ce n’ era bisogno, era un mare davvero cattivo quello di
allora: nei fondali qui intorno anfore e ancore e cocci raccontano
ancora oggi di antichi naufragi". E Bernardini: "Basta osservare
tutti i nuraghes che circondano la rada, per rendersi conto che il
porto può esserci stato fin dall’ età nuragica. Le ultime tracce,
però, sono romane e medievali. Due calette più in là, verso
Teulada, si vedono ancora le cave da cui i massi per costruirlo
furono presi". Nella rada deve esserci ancora l’ ira di dio di
roba: strade, mura che affiorano, i magazzini del rimessaggio,
forse un tempio, forse la conferma dell’ origine punica del
porto... Bernardini: "E’ una zona - questa compresa tra Tharros e
Nora, le due capitali sarde della civiltà fenicio punica - che,
piena di vita com’ era, già ci ha permesso di riscrivere la storia
e le datazioni di quel capitolo della Sardegna. Grazie ad alcune
case ritrovate dieci anni fa a Sulci ora sappiamo di dover fare
arrivare i primi Fenici (termine che, all’ inizio, significa
genericamente quelli dalla pelle rossa) nell’ ottavo secolo avanti
Cristo e non più nel sesto o settimo come si credeva prima. E,
sempre con i ritrovamenti, ci siamo resi conto di quanto andassero
d’ accordo quei primi mercanti avventurieri e danarosi con le
popolazioni locali, tutte contente di vendere a buon prezzo
rifornimenti e merci. Con i punici no! Cambia davvero tutto:
defenestrate le élites locali, deportate popolazioni intere,
sostituite da genti del Nord Africa; e poi stragi, tasse e mano
pesante; e spie, e sorveglianza...". Fu allora, forse, che
qualcuno se ne uscì con quel "Bucca tupada, bucca indorada: bocca
tappata, bocca dorata" che ancora gira come proverbio. Talvolta,
però, si esagera: la Sardegna, ancor oggi, non ha ufficio stampa.
O se ce l’ ha non funziona. Così può capitare - è capitato - che
si rintracci sott’ acqua non solo questo porto ritenuto da tutti
il più importante mai ritrovato finora, ma anche - adagiate sotto
la schifosa fanghiglia nerastra (ma sacrosanta visto che ha
protetto tutto a perfezione) di Santa Gilla, uno stagno distante
una quarantina di chilometri dall’ antico porto, proprio di fianco
a Cagliari - centinaia e centinaia di anfore ancora piene di roba
da mangiare (di tutto un po’ , ma mai maiale) pronta per essere
stivata, e maschere di terracotta e manufatti e tegole decorate -
una specie di Pompei del commercio punico-mediterraneo, insomma -
e nessuno "in continente" ne sappia nulla e quindi ne parli
adeguatamente. A questo punto sarebbe bello poter annunciare anche
che - sempre a causa della mancanza di un ufficio stampa adeguato
- in giro non si è saputo neppure che nelle due zone del Porto
grande e dello Stagno di Santa Gilla sta ora partendo una poderosa
campagna di archeologia subacquea, e che la Sardegna ha chiesto
aiuto - e soldi buoni - all’ Europa che glieli ha dati per cercare
lì dentro la nostra storia comune. E che sarà un colossale
cantiere archeologico, aiutato dalle università e visitabile da
tutti in una zona bellissima e miracolasamente ancora intatta (i
Monzino, ex Rinascente, padroni di tutto da quelle parti, non
hanno mai distrutto nulla). E che il cantiere darà lavoro a
centinaia di giovani ricercatori. E che - come succede in Egitto -
si faciliteranno gli scavi anche ad équipe archeologiche
straniere. E che la roba - man mano che verrà trovata, verrà sì
restaurata ma subito dopo esposta in zona con piccoli e grandi
nuovi musei adeguati. E che per tutta la costa tra Cagliari e
Oristano - quella con dentro il Sulcis bastonato a morte dalla
disoccupazione delle miniere chiuse - sarà una nuova età dell’ oro
dato che chiunque si interessi di archeologia - una volta visti
gli splendori di Tharros e Nora, le due Cartagini di qui - dovrà
per forza visitare il colossale porto che racconta l’ apogeo della
vita di mare di qui e, forse, l’ inizio della fine per la civiltà
nuragica. E che persino il vecchio Progettone della carta del mare
e dei tesori che qui nasconde è, finalmente, diventato realtà. E
che... Purtroppo, però, stavolta non è questione di ufficio
stampa... Non solo per indagare sul passato archeologico -
nuragico, fenicio, punico, romano, bizantino - dell’ isola ci sono
sì e no 700 milioni l’ anno in tutto (il costo di una puntata
particolarmente economica di un qualsiasi Fantastico; o di un paio
di chilometri di autostrada; 250 volte meno di quel che si è speso
finora per un faraonico porto-canale nato morto proprio nella zona
dello stagno), ma tutto il territorio di Cagliari nasconde a
perfezione i suoi antichi trofei. Da quando fu scoperto, tre anni
fa, al Porto grande nessuno ha più indagato. Ferme anche le
ricerche a Santa Gilla. Persino i materiali trovati lì sono
sepolti in magazzini inaccessibili. Niente di strano: dei tesori
che terra e mare di Sardegna restituiscono da anni, un centesimo
appena è quello esposto da quando, sette anni fa, è stato chiuso
il vecchio Regio Museo, uno strampalato, mirabolante bazaar di
meraviglie nuragiche e mediterranee che nella sua confusione
aveva, però, un gran fascino. Ora poche vetrinette - ordinatine,
ma come di una farmacia - annunciano da anni che il nuovo museo,
prima o poi, sarà completo. Fatto sta che della Sardegna si
capisce di più vedendo la piccola, preziosa mostra I Fenici in
Sardegna, in questi giorni ai Musei Civici di Milano, che
sbattendosi in giro per i musei del Cagliaritano. Ma se ricerca e
valorizzazione delle antichità sarde vanno a rilento, in compenso
- proprio nelle zone archeologiche - c’ è un superattivismo
immobiliare - benedetto da tutti Regione, Soprintendenza e
Legambiente comprese - che rischia di seppellire sotto il cemento
armato interi capitoli della nostra storia. Già a Santa Gilla non
solo il porto-canale e le sue ruspe fanno disastri facendo
spostare gli stessi fenicotteri che hanno fatto ricca la Camargue,
ma un centro commerciale s’ è mangiato con le sue fondamenta le
strutture del porto romano di Scipione. Ora, poi, anche
Tuvixeddu, una delle più maestose necropoli puniche esistenti nel
Mediterraneo arroccata su in alto, nel centro di Cagliari, rischia
una di quelle valorizzazioni che solo gli immobiliaristi di
qualità sanno prospettare a un Comune: un bel complesso di
palazzoni vista-tombe tutt’ intorno, alla faccia della
scaramanzia, e dei vincoli, e del fatto che l’ intera zona è stata
definita dall’ Unesco patrimonio dell’ umanità.
DIDASCALIA:
Veduta di Tharros. Sotto, bronzetto nuragico di una barca. In
basso, recupero di un’ ancora di pietra e sub con anfora a Santa
Gilla

TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
26/06/2000
PAGINA:
42
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
Nel nuovo spazio cagliaritano pi di tremila gli oggetti esposti
TITOLO:
Sardegna miniera d’ antico
SOMMARIO:
NASCITA DI UN MUSEO
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Cagliari I grandi orchi fenici - i Bes di Cartagine - finalmente
ricompaiono a ricordare che, talvolta, l’ archeologia Ë anche
oscenit‡. Come un presepio marziano il tesoro di Uta fa
scintillare i suoi bronzetti di uno strano verde cupo. Poderosi
otri di terracotta lavorata grossa stupiscono anche per la data:
2200 anni a.C. Una parata di Dee madri, accovacciate cosÏ da 5000
anni, fa bella un’ intera vetrina. Una sta partorendo, da sempre.
E le ceramiche micenee. E la roba cipriota. E la flottiglia di
navicelle nuragiche. E le maschere puniche. E le statuette
filistee. E la scultura romana.... La Sardegna, miniera d’
antico, si Ë messa in mostra al Museo, sulla rocca di Cagliari.
Tutt’ intorno c’ Ë l’ Isola del Tesoro. Bella dei suoi 7000
nuraghes, di cento e cento menhir, delle Stonhenge piccole
piccole, delle tombe dei giganti, delle rocce scavate all’
anatolica, delle citt‡ fenicie sommerse. È l’ isola dalle mille
sorprese ancora possibili: di quei 7000 nuraghes - tirati su ai
tempi di Troia, con massi anche di 10 tonnellate, mille anni prima
che Roma fosse grande - soltanto 16, per ora, sono stati scavati
davvero, scientificamente. Una foto tutti cerchi neri, su bianco:
Ë - presa dall’ aereo - la reggia di Barumini, ma con la neve. E,
sezione per sezione, via nel Sulcis, nell’ Iglesiente, nel
Sarrabus. La Marmilla, il Gerrei, le Giare...Tutte zone con il
doppiofondo: appena scavate un po’ hanno restituito roba
archeologica. Professor Lilliu, come le sembra ? " Bello, certo.
Era ora...". Ma non si sente in colpa neppure un po’ ? "Io? E
perchÈ?". Ma l’ ha guardato bene il nuovo Museo? Sembra figlio
suo. Da cosa si puÚ capire, qui, che gli antichi Sardi navigavano
dappertutto? Che facevano parte di quella federazione di Popoli
del Mare che ai tempi di Ramses III mandÚ per aria met‡ dei regni
di Oriente? "E io che c’ entro? Il Museo mica Ë opera mia...".
PerÚ Ë lei che ha sempre scritto che qui il mare era una barriera,
un recinto, e che tutte queste cose arrivavano qui da fuori, e che
i sardi non navigavano... "SÏ, ma io parlavo del periodo recente:
soprattutto da Cartagine in poi". Alcune sue pagine, perÚ, sono
perentorie... Certo, mai quanto gli anatemi di Massimo Pallottino
che sentenziÚ: " Demenziale collegare Sardi e Shardana...". Poi
invece, ormai, basta aprire un libro francese o vedere un museo in
Israele per trovarvi quei Sardi-Shardana in ogni mappa dedicata al
Mediterraneo arcaico... "Ma io molte di quelle mie vecchie pagine
le ho gi‡ riscritte. Non solo: sta per uscire con i Lincei un mio
studio che rimette le cose a posto e la Sardegna in mezzo al mare.
Sa, nel nostro mestiere, di fronte a nuovi riscontri, cambiare
idea Ë un obbligo...". Chapeau! E sÏ, Giovannino Lilliu la sa
davvero lunga. Cerca il duello e, poi, vince sempre. Mica solo ora
che ha appena compiuto 86 anni. Da sempre... Barone universitario
ma senza feudi, accademico dei Lincei, democristiano doc ( ma di
sinistra, di quelli che, pur di salvare dal cemento pezzi di
costa, non esitava poi a votar contro, ed allearsi a sorpresa con
gli extraparlamentari di allora), cento libri scritti e uno scavo
- nel suo paese, Barumini, che ha fatto il giro del mondo: sotto
un montarozzo coltivato a fave ha trovato la reggia nuragica pi
bella della Sardegna. L’ ultimo suo studio appena pubblicato -
Arte e religione della Sardegna prenuragica 460 pagg. lire 160
mila, Carlo Delfino Editore - Ë, con le sue 234 schede scritte in
punta di penna e centinaia di foto, quasi un museo personale, un
vero e proprio Pantheon del Neolitico sardo e internazionale.
CosÏ, visitare con lui i due piani nuovi di zecca del Museo
archeologico di Cagliari, Ë un’ esperienza fascinosa che Giovanna
Melandri - qui in Sardegna per un raid di 30 ore tutto
inaugurazioni, e strette di mano, e importanti accordi
paesaggistico-culturali, finanziati dall’ Europa con una montagna
di 750 miliardi, da spendere in cinque anni, a partire dal 2001 -
ha dovuto rinviare a un giorno pi tranquillo. Il cerimoniale,
infatti, prevedeva sÏ un intervento del professore, ma solo sul
Nuraghe di Barumini, dov’ era padrone di casa per celebrare con
lei l’ inserimento di quel colosso di pietra nel Patrimonio
mondiale Unesco. Eppure proprio questi grandi vecchi che sanno
tutto vale la pena di starli a sentire con attenzione. Anche
perchÈ, poi, a queste et‡, peli sulla lingua zero! Oddio, proprio
zero no... Ascoltiamolo, quindi: " Bello davvero, il museo. Magari
un po’ piccolo rispetto a quel che c’ Ë da mostrare... Certo, si Ë
perso molto, molto tempo qui da noi... Recuperare Ë, sÏ,
possibile: ma adesso servirebbe gente in gamba, pronta a darsi da
fare, e nella direzione giusta... Ë stata una follia chiudere il
vecchio museo: smantellare a cuor leggero quell’ impostazione
poderosa che era riuscito a dargli, all’ inizio del secolo scorso,
Taramelli...". Che poi - fuori dai denti, e stando attenti alle
date - vuol dire: da quando qui, al vertice della Soprintendenza,
Ë approdata una persona non adeguata, tutto si Ë impantanato.
Sette anni per questi due nuovi piani del Museo; scavi iniziati e
abbandonati; pochissimi i reperti pubblicati; piste di go-kart
accanto a siti archeologici; Tuvixeddu ( il pi grande sepolcreto
punico mediterraneo) talmente maldifeso che, ormai, gli stanno per
costruire palazzi tutt’ intorno; giacimenti di quell’ ossidiana
sarda che arrivava ovunque( fin su alla Provenza, fino alla
Spagna) sbancati, maltrattati, feriti a morte; e magazzini che
scoppiano; e reperti che nessuno puÚ studiare; e l’ Universit‡
tenuta fuori dal Museo... Insomma, proprio adesso che qui
servirebbe un Vivant Denon ( con uno squadrone di sapienti, tipo
quelli che accompagnarono gi in Egitto Napoleone) Cagliari ha sÏ,
dei sapienti, ma poi a coordinarli - invece di quello che poi
divenne il fondatore del Louvre - c’ Ë Santoni Vincenzo,
soprintendente. CosÏ, amando davvero ambiente e archeologia, da
queste parti pi d’ uno soffre. Poi, perÚ, il nome di Santoni lo
sussurrano soltanto. Anche perchÈ - si sa - Ë uno che, se vuole,
puÚ fartela pagare: non ti autorizza pi uno scavo, ti blocca una
trasferta, ti fa la vita difficile. E allora... L’ ultima che ha
fatto, perÚ, Ë talmente grossa che Ë finita sulla bocca di tutti:
sotto la pazza idea di seppellire con poderose strutture di legno
gran parte dell’ antico anfiteatro romano di Cagliari, c’ Ë - ad
autorizzarla - la sua firma. " Un sacrilegio fatto con i soldi del
Giubileo ", sbotta Lilliu che, non solo sta protestando
inutilmente da mesi, ma ha aiutato a raccogliere 4000 firme
contro. Nell’ agenda ministeriale una visita all’ anfiteatro non
era prevista: troppo imbarazzante arrivar lÏ e dover dire che Ë
tutto sbagliato, tutto da smontare. La sosta, poi, perÚ, c’ Ë
stata. E ora Ë certo che Giovanna Melandri - grazie al cielo -
sullo scempio ha idee chiarissime: quelle nuove gradinate vanno
usate, sicuro, ma solo per creare, da tutt’ altra parte, uno
spazio teatrale che non offenda il pi possente monumento romano
rimasto in Sardegna. "Le sembrano strani? Logico: sono tutti
falsi", si diverte il professore, davanti a una vetrina appartata,
a raccontare la storia di questi che sono i bronzetti nuragici pi
matti del mondo. Una quindicina di figurine fatte apposta per il
mercato che nell’ 800 di arte nuragica capiva poco o niente.
Vittima eccellente - a cui ne appiopparono assai - ne fu Alberto
La Marmora, qui con i suoi piemontesi a cercare di capire e
misurare la Sardegna, allora ancora mezza sconosciuta. E siccome
una storia tira l’ altra, ecco che il file " Piemonte-Sardegna "
apre una finestra su certi toponimi ormai definitivi nell’ isola:
"Non si capivano proprio: i cartografi dei Savoia, mezzi francesi,
chiedevano ai locali e quelli rispondevano solo in sardo. Fu cosÏ
che l’ isola di malu bentu (cattivo vento) divenne l’ Isola di
Maldiventre, quella dei cavuru (ovvero gamberi) divenne l’ Isola
dei Cavoli e il golfo de li ranci (granchi) divenne Golfo Aranci".
Sono 3.000, ora, gli oggetti esposti. Quasi tutti di altissimo
livello. Ma 130 mila rimangono sepolti nei magazzini, murati vivi.
Carlo Tronchetti - lo studioso che con Luisanna Usai ha fatto
miracoli a far bello, e scientifico il museo - confessa: "Un
rimpianto? Lo spazio. Almeno altri diecimila pezzi meriterebbero
di esser fatti vedere... Solo con altre sale avrei potuto mostrare
quanto la Sardegna fosse legata al resto del Mediterraneo...".
Peccato, perÚ... I fascinosi ambienti del vecchio museo - un
portentoso spazio espositivo a soli 300 metri da questo nuovo - Ë
stato, perÚ, nel frattempo umiliato: dove trionfavano gli dei
mediterranei che affascinarono Junger, ci sono ora uffici,
depositi, magazzini, armadi, laboratori... Roba che potrebbe star
ovunque. In un’ altra ala di un vecchio palazzo, proprio lÏ
accanto, altri magazzini, ma dell’ altra Soprintendenza. E se
fossero proprio questi i posti che mancano? I luoghi dove esporre
a rotazione - con mostre tematiche - i tesori rimasti nascosti?
Solo all’ idea sia Tronchetti che Lilliu, d’ improvviso, si fanno
brillare gli occhi.
DIDASCALIA:
Una statua femminile in pietra fine IV millennio; qui sopra e
sopra il titolo, due oggetti dell’ et‡ del bronzo del Museo
archeologico di Cagliari


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