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Risposta di Frau alla prof.ssa Bietti Sestieri (19 gennaio 2005)

venerdì 21 gennaio 2005

Gentile Professoressa Bietti Sestieri, ho voluto far passare qualche giorno per ragionare con calma, raccogliere idee e documentazione, e soprattutto rimettermi dalla sorpresa e dal fastidio di trovare su Internet - al sito dell’ IIPP - una risposta a me indirizzata, senza che io avessi ancora ricevuto nulla di scritto da parte sua. Ho ritenuto che, forse, Lei abbia scelto questa procedura - insolitamente accelerata e pubblica - in modo da avviare al più presto (allargandolo a tutti) quel dia-logo e confronto tra le nostre posizioni che auspica nella lettera. Sia ben chiara una cosa: a me non interessa affatto che, per ora, mi sia data ragione da Voi come Istituto; mi sta a cuore, invece, poter continuare a ragionare su nuove ipotesi di ricerca, e farlo con tutta la gente (studiosi, esperti di vario tipo, archeologhi, geologi, lettori, comuni mortali...) che stimo e che ritengo utili ad approfondire problemi che, finora, in pochissimi si sono posti. Ben venga, quindi, il confronto tra noi e, davvero auspicabile, una vostra collaborazione nella verifica di tante questioni irrisolte della Prima Storia Sarda. Le invio per e-mail questa mia (con tutto il resto della documentazione in modo che possa al più presto metterla in rete) permettendo così a chi vi "visita" di farsi un’idea completa del dibattito da Voi avviato. Cordiali saluti. Stessa cosa farò io sul piccolo sito artigianale www.colonnedercole.it.
Cordiali saluti

Sergio Frau

IL PRESIDENTE

Firenze, 20 dicembre 2004
Prot. 7868
Dott. Sergio Frau
La Repubblica
Via Cristoforo Colombo 90
00147 Roma

Caro dottor Frau,

la ringrazio molto per l’invio delle sue pubblicazioni, che in parte conoscevo, ma che mi ha fatto comunque molto piacere ricevere. Se fra i miei lavori di protostoria c’è qualcosa che le interessa, sarò lieta di ricambiare la sua cortesia.Il punto però, come entrambi sappiamo bene, non è questo, e vengo quindi alla lunga missiva che per mio tramite lei ha inviato all’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria.

(CHIOSA I. Gentile Professoressa, la "lunga missiva" era inviata proprio a Lei, e solo a Lei. Mi dia fiducia almeno su questo: so bene come inviare una lettera in copia ai consiglieri di un Istituto... Se non l’ho fatto è perché allora ancora speravo di evitarle un coinvolgimento in una storia che - sto accorgendomene sempre più - ha molto poco di scientifico).

Devo in primo luogo augurarmi che i giudizi contenuti nella sua lettera su noi dell’Istituto siano stati espressi in modo quantomeno affrettato: già alla terza riga ci dà degli ottusi oscurantisti, una definizione, ne converrà, che non si presenta precisamente come un invito alla pacata discussione fra studiosi; poco dopo si rammarica della nostra ‘imbarazzante leggerezza’ nel farci ‘inconsapevole cassa di risonanza’ di un’aggressione nei suoi confronti. Poi parla di una ‘scomunica ridicolmente sacralizzata dal nostro pulpito’, del nostro ‘autorevole quanto superficiale imprimatur’, del fatto che l’Istituto si sia affrettato a concedere sempre lo stesso imprimatur di fronte a ‘un pool di cervelli che può anche fare impressione’, della ‘copertura’ da noi concessa a comportamenti nefandi passati e futuri, della ‘sporca avventura in cui l’Istituto è stato trascinato’, di aver permesso che una ‘ridicola lamentela’ venisse lanciata dall’autorevole pulpito dell’Istituto, di aver perpetrato contro di lei un ‘linciaggio a cuor leggero’ e un ‘anatema per conto terzi’.....

(CHIOSA II. Decontestualizzare le frasi e usarle poi come armi lo si può fare solo se, in contemporanea, si mette in pubblico anche il testo da cui sono tratte. Allora sì, che si gioca secondo le regole. Lei, per ora, non ha messo sul suo sito la mia lettera. E questo è assai grave. Alla terza riga, ad esempio, non è vero che vi do degli "ottusi oscurantisti", proprio perché ci sono le altre due righe precedenti che rileggendole suonano così: "...Con amarezza sono costretto a chiederle un po’ del suo tempo per cercare di risolvere insieme la spiacevole situazione che si è venuta a creare e che rischia di striare di ottusità oscurantista l’immagine dell’Istituto da Lei diretto con tanta passione e serietà". Si renderà conto della differenza... Del resto, rimango convinto che sposando quell’appello l’Istituto abbia fatto un errore grande. Cercavo, solo, di fargliene capire la genesi. Non ci sono riuscito, peccato... Ora lo mette in pubblico Lei. Sono comunque contento di non averlo fatto io).

Suvvia, caro collega, non le pare di esagerare?

(CHIOSA III. "Collega"? Non le pare di esagerare? So bene che la sua voleva essere di certo una gentilezza, una promozione sul campo... Purtroppo, invece, sono un giornalista, ma ben felice di esserlo, con tutti quei doveri e quei diritti di cronaca che - come le ho scritto - sono alla base di questo mestiere e di questa vicenda).

Non crede che esprimere in questo modo le proprie rimostranze di fronte a un dissenso scientifico non possa che ottenere un risultato opposto rispetto a quello da lei presumibilmente desiderato?

(CHIOSA IV. È quel che le contesto: che non di "dissenso scientifico" si stia trattando, ma di un "regolamento di conti", striato di invidie, rancori e interessi. Che c’entrebbero altrimenti antropologi, medievisti, impiegati comunali, laureandi di terza età, con tutte le loro mogli, a sentenziare su maremoti e protostorie, mentre io sto ancora ponendo ai geologi interrogativi che nessuno finora gli aveva mai posto?).

Le posso assicurare che l’adesione dell’Istituto all’appello già sottoscritto da studiosi di varia provenienza è stata convinta e unanime, tanto che nelle diverse sedi nelle quali è stato presentato nessuno si è pronunciato contro di esso, e che molti soci dell’IIPP lo avevano già sottoscritto a titolo personale. Sollecitata dalla sua vibrante prosa, ho riletto l’appello con più attenzione, e devo dirle che ritengo che il dissenso scientifico venga espresso in modo assolutamente civile, con un tono e uno stile perfettamente condivisibili anche da chi non sia d’accordo su tutti i punti che in esso vengono toccati.

(CHIOSA V. Temo di aver fatto vibrare troppo la mia prosa se - sollecitandola, sollecitandola - non sono poi, però, riuscito a spiegarle che è proprio il fatto di esser stato presentato lì, nel suo istituto (e nelle lettere che stanno accompagnando in giro l’Appello) come "nemico delle Soprintendenze" che trovo diffamatorio e scorretto. E sì che gliel’ho pure detto che sono stato "nemico" di alcuni scempi fatti dalle Soprintendenze sarde. E sempre, invece, a favore delle Soprintendenze e del loro ruolo quando operano secondo gli scopi per cui sono state istituite).

E infatti credo che il nocciolo della questione non sia in realtà il dissenso - che pure molti di noi condividono - sulle ricostruzioni e sulle ipotesi che compaiono in particolare nei suoi scritti, ma anche in quelli di molti altri autori. Credo sinceramente che tutti noi siamo convinti da un lato della serietà con cui lei si è dedicato alla ricerca sulla protostoria mediterranea, della originalità di almeno alcune delle sue proposte e quindi della possibilità di condividerle; dall’altro del diritto di ognuno di esprimere e diffondere liberamente le proprie idee.

(CHIOSA VI. In tutta coscienza, Professoressa, Lei davvero crede che questo Appello - anche vostro, ormai - possa salvaguardare o facilitare "il diritto di ognuno di esprimere e diffondere liberamente le proprie idee"?).

Ciò che invece non può essere condiviso, e che purtroppo oppone, temo irrimediabilmente, la comunità scientifica dei preistorici italiani ad alcune sue posizioni, può essere sintetizzato in tre punti principali.

1 - Nessuno studioso della nostra disciplina può disporre quando crede di una cassa di risonanza per le proprie elaborazioni scientifiche paragonabile alle pagine della cultura di un quotidiano come La Repubblica. Questa innegabile rendita di posizione, della quale un giornalista come lei gode rispetto a qualsiasi normale studioso delle nostre discipline, dovrebbe essere messa da parte da chi cerca un confronto di idee alla pari; ma che un confronto di questo genere non sia in programma nel caso specifico è dimostrato semplicemente dal fatto che non è stato mai proposto, né da lei, né dal suo giornale. Nella sua lettera, come in molti suoi scritti che ho letto negli ultimi anni su Repubblica, lei esprime liberamente giudizi spesso sprezzanti su studiosi dai quali dissente o che dissentono da lei, mentre elogia regolarmente quelli che si dichiarano in qualche misura d’accordo con le sue idee. Nessuno potrebbe sostenere in buona fede che questo sia un modo corretto di condurre un dibattito scientifico.

(CHIOSA VII. Professoressa, queste sue righe - gravissime, offensive quanto fantasiose - per ora gliele passo: le voglio considerare come un suo incidente di percorso, e non come un motivo di querela... Diciamocelo, però, che la mia supposta "rendita di posizione" è un po’ come la sua: fatta solo di grandi sgobbate, alcune studiatone e qualche "merito" acquisito sul campo. Del resto, provi a rovesciare la sua ottica: mi dica se qualcuno dei molti giornalisti che si occupano del mondo antico ha mai avuto a disposizione un fior di Istituto come il suo che finanzia ricerche, pubblicazioni, convegni, decidendo pure consensi e scomuniche? E me lo dica se qualche giornalista l’ha mai rimproverata finora per questo? E ancora - sempre ragionando per simmetria, come se le nostre due posizioni/professioni fossero davvero commensurabili - non mi risulta di aver ricevuto alcun invito da parte vostra per illustrarvi le "antiche novità" saltate fuori dalla mia ricerca, come invece mi è successo a La Sapienza su invito del professor Andrea Carandini, al Suor Orsola Benincasa su invito del rettore Francesco De Sanctis, all’Università di Pavia etc.. Errore mio, dunque? Sicura? O, piuttosto, disattenzioni vostre?).

2 - Non è possibile, tanto meno in un momento politico come quello attuale, sparare a zero sulle Soprintendenze Archeologiche (una o tutte fa lo stesso), sempre sotto l’ombrello protettivo del proprio giornale. Non faccio naturalmente commenti sulle accuse e sugli apprezzamenti negativi da lei rivolti in particolare a una delle Soprintendenze Archeologiche della Sardegna, che lascio interamente alla sua responsabilità.

(CHIOSA VIII. "Una o tutte fa lo stesso"? Un’assurdità! Una Soprintendenza/caricatura che massacra un anfiteatro romano (contro ogni criterio conservativo codificato a livello internazionale) e che, poi, permette anche di circondare con il cemento la più importante necropoli punica del Mediterraneo, è davvero come tutte le altre? Ci ripensi a questa frase infelice: sono sicuro che le è sfuggita. Visto che attribuisce importanza alle firme le allego fotocopia delle 7000 firme raccolte contro quello scempio perpetrato ai danni dell’Anfiteatro di Cagliari e, anche, un piccolo dossier di documenti ufficiali che le permetteranno di rivedere con cognizione di causa le sue posizioni sul Soprintendente che l’ha autorizzato).

Le Soprintendenze, un mondo che conosco bene e dal quale provengo, hanno molti difetti, e i cittadini e i giornali farebbero bene a chiedere cambiamenti, soprattutto una maggiore apertura verso il pubblico, le amministrazioni locali e gli altri studiosi e associazioni che sono interessati alla conservazione e alla conoscenza del patrimonio archeologico del paese. Ma non è possibile, soprattutto da parte di un giornalista che si è sempre occupato di cultura, ignorare che le Soprintendenze restano l’unico baluardo contro l’uso improprio e indiscriminato, se non la rapida distruzione, di questo patrimonio. Meglio, molto meglio una Soprintendenza imperfetta piuttosto che la tutela e la conservazione dei beni archeologici affidata solo a dilettanti di buona volontà, a volontari part-time e ad amministrazioni locali che nel migliore dei casi possono destinare all’archeologia risorse ancora più esigue di quelle dello Stato, e nel peggiore non sono in grado di resistere alle pressioni di costruttori e speculatori, quando non le condividono direttamente.

(CHIOSA IX. Su tutto ciò sono perfettamente d’accordo. Da sempre, però: non mi ha convinto ora, Lei. S’informi un po’ meglio su di me: mi è capitato più volte di scrivere a favore di queste sacrosante idee).

3 - L’amore per la propria regione, o nel caso specifico per la propria isola, è un sentimento bello e rispettabile; ma su questo terreno nessuna disciplina si presta come l’archeologia a un uso distorto di ipotesi e teorie che si dichiarano scientifiche. Non è necessario che le ricordi la storia recente e contemporanea per sottolineare il ruolo nefasto che un uso scorretto della documentazione e dell’informazione archeologica può avere nel suscitare nostalgie di paradisi perduti ed età dell’oro, e nel fornire il pretesto per rivendicazioni di superiorità culturale ed etnica e per aspirazioni autonomiste che sarebbe difficile giustificare altrimenti. Francamente, mi sembra che molte delle sue tesi si prestino, seppure non intenzionalmente, ad alimentare manifestazioni del genere. E’ precisamente questa una delle ragioni per cui considero assolutamente auspicabile un confronto scientifico aperto e serio, che metta un pubblico di non specialisti in grado di valutare la bontà delle teorie che gli vengono proposte e le pericolose implicazioni di una esaltazione acritica del proprio passato.

(CHIOSA X. Ma che genere di spauracchi mi sta agitando davanti? Che cosa le hanno mai raccontato di tanto fasullo, per spingerla a dire, ora, queste cose? Dovrei, quindi, tener sotto tono fonti, indizi, prove, risultati - che, peraltro, hanno suscitato interesse e consensi tra i migliori antichisti - per paura che pure i Sardi - come già altri "bambinoni" - si montino troppo la testa, perdano la trebisonda e si mettano a bere anche loro l’acqua sacra di un loro Po? Ma andiamo, un po’ di rispetto anche per le intelligenze altrui... Non si pongono questi problemi gli Inglesi che tirano a lucido Stonehenge, nè l’Unesco quando dichiara un sito patrimonio mondiale... Devo preoccuparmene solo io, perché i Sardi - secondo Lei - son gente strana? E, invece, se saltasse fuori un tempio a Siena, che cosa bisognerebbe fare? Ricoprirlo di nuovo per paura che i Senesi si insuperbiscano e dichiarino guerra a Firenze? E a proposito di paure per fantasmi del Passato: non la inquieta neanche un po’ una raccolta di firme contro un libro? Le ricorda nulla? Nell’ottobre del 1931 solo 12 professori universitari non firmarono il giuramento di fedeltà al regime fascista: una minoranza che aveva torto, la loro?

***

Mi scusi, Professoressa, se mi permetto ora questa chiarezza. Da Lei non mi interessano lezioni di "politicamente corretto": le ho mandato per rispetto il mio libro e il catalogo con le recensioni perché - ormai coinvolta, da altri, in questo pasticciaccio - si facesse un’idea sulla mia ricerca. Se le è fatta? O no? Ne sa abbastanza della Sardegna, per dire la sua? Ho diritto di sentire geologi, o no? Posso continuare ad avere i miei dubbi su una versione che teniamo buona da secoli e che, però, ha sempre lasciato zone d’ombra nell’intero Mediterraneo? O no? Posso contare su eventuali perizie obiettive del suo Istituto? Questo è il punto focale, il "nocciolo della questione" come dice Lei. Altri non ce ne sono: o almeno non competono - in questa fase - né alla sua, né alla mia professionalità).

Spero di averle spiegato nel modo più chiaro possibile la posizione mia e dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Mi auguro che voglia riflettere su questa lettera, considerandola per quello che effettivamente è: non un messaggio ostile, ma piuttosto un invito al confronto e al dialogo.

Con molti cordiali saluti

Anna Maria Sestieri

(CHIOSA XI. Chiaro che ci rifletterò sopra: sia Lei che io abbiamo grandi responsabilità, se non altro verso noi stessi e verso chi ci ha dato fiducia... Intanto voglio davvero considerare questo suo scritto - che, sinceramente, avrei letto molto più volentieri su carta, come risposta privata a lettera privata; e non squinternata su internet, prima ancora di riceverla... - come un vero "invito al confronto e al dialogo". Non siamo in due, però a questo punto, vista la sua decisione... Per cui la prego di mettere in rete questa mia risposta fatta solo di chiose e anche la lettera privata del 10 dicembre 2004 che le avevo fatto avere (e che ora le riallego in elettronica, qui in coda) da cui ha estratto quei passaggi che risultano troppo velenosi - e lesivi del mio modo professionale di essere - se estrapolati dal contesto in cui erano stati usati. Sto anche preparando una risposta puntuale (nel senso punto per punto, per tutti i 21 punti) all’appello che - sempre in nome del dialogo - sono certo troverà ospitalità sul vostro interessantissimo sito. Sappia che a fronte delle 70 firme promotrici ci sono almeno 10 mila lettori - tanti, solo in Sardegna, hanno acquistato il mio libro - che seguiranno con grande interesse il dibattito: se non altro per sapere se li ho presi in giro io, o se invece è il "Gruppo dei 70" inadeguato al ruolo censorio che sta cercando di accreditarsi.
Grazie e cordiali saluti. Sergio Frau).

http://www.iipp.it - e.mail: iipp@iipp.it segreteria@iipp.it rsp@iipp.it


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