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L’Epigrafista / Maria Giulia Amadasi Guzzo

venerdì 21 gennaio 2005

E’ un libro davvero straordinario, questo di Sergio Frau.
Straordinario anche in senso etimologico: è imperniato sulle prime, vere Colonne d’Ercole ma in realtà riscava, perquisisce, tutta la storia del Mediterraneo fino ai primi tempi storici.

Non è poi una ricerca “canonica”, ed è condotta quasi come un’inchiesta, mettendo insieme e confrontando fonti antiche e moderne fino a ricostruire un mondo ormai scomparso e il passaggio da questo a un mondo nuovo, il mondo ellenistico. E le prime Colonne d’Ercole che ci stanno a fare? Sono, se collocate al Canale di Sicilia, come dimostra Sergio Frau sulla base dei testi antichi e di analisi moderne, la testimonianza di un periodo arcaico, ma già fortemente strutturato, nel quale le sfere d’influenza erano ben definite: i Fenici da una parte, i Greci dall’altra. Ma, prima, almeno nel Tardo Bronzo, fino al 1200 a.C., il ruolo del Mare d’Occidente, al di là del Canale di Sicilia, è stato diverso: determinante sotto moltissimi aspetti e finora fortemente trascurato. E su questo periodo, in questo territorio, si concentra soprattutto la ricerca, a volte davvero appassionata, di Sergio Frau.
Lo conosco bene, ormai, questo libro, ne abbiamo parlato insieme, con Sergio, qualche volta anche discusso. E’ un libro così pieno e così complesso che non si riesce a definirlo: per questo, anche, è straordinario. E tocca mille argomenti seguendo strade piene di curve, anche se tutte ben segnate, proprio come le rotte del mare. E fa venire mille curiosità; curiosità di ogni tipo, scientifiche e letterarie: voglia di leggere, di ricercare, di controllare, magari anche di contraddire. E tiene l’attenzione sempre sveglia. E gioca brutti tiri a chi credeva che determinate questioni fossero ormai assodate. O che fosse impossibile ristudiarle con qualche buon risultato. Bello il caso di Atlantide, che - proprio lo spostamento a Est delle Colonne - permette di identificare senza difficoltà con la Sardegna: ma, insieme alla proposta, impressiona l’approfondita analisi dei dati raccolti, che s’incastrano l’un l’altro senza forzature. E il modo di presentarli non consente di interrompere la lettura. Il libro è costruito infatti in un modo insolito: citando le parole degli autori, antichi e moderni, organizzando Forum e Processi. Sergio Frau tratta in modo disinvolto e talvolta divertente, ma serio, i temi più ampi, che riguardano l’insieme dei primi problemi storici del Mediterraneo. L’opera mi sembra così come un pentolone che, scoperchiato, fa traboccare le questioni più dibattute in modi inaspettati. Mi sembra in parte una ricerca, in parte un insieme di storie dentro una storia e la storia che tutte le regge è la ricerca di queste sfuggenti, fantomatiche prime Colonne, che Eracle piazzò nel suo “Far West” (come spesso lo chiama Sergio...), quando ancora il mondo dei Greci era piccolo e il Mediterraneo occidentale una regione inesplorata allora, ma conosciuta un tempo, quando, nel Tardo Bronzo, ancora nel XIII secolo prima di Cristo, il mare era solcato da mille navi di popoli diversi. Si può discutere sull’origine di questi popoli, ma certo alcuni dovevano davvero venire da lì: così i famosi Shardana. è in questo periodo di grande ricchezza e di scambi facili - s’intuisce - che potrebbero essersi formati alcuni tra i più antichi miti Greci, ricordi in parte di eventi che si situano nell’Estremo Occidente. Ma il Tardo Bronzo è stato ugualmente ricco per l’Oriente, e navi orientali e occidentali si incrociavano in quella parte del Mediterraneo, che poco più tardi si chiuderà agli scambi: quanto di tutto questo ha influito sulla cultura della costa siro-palestinese?
Ora, mi piacerebbe poter conoscere almeno un poco, concretamente, quelle genti di Sardegna, ancora così evanescenti, ma provviste di tecniche tanto avanzate. Mi piacerebbe riuscire a capire, almeno un poco, come e in che misura si poterono percorrere intrecciare in questa regione i racconti orientali dei viaggiatori “cananei” con quelli occidentali. Mi piacerebbe capire se davvero i primi Sardi avevano una forma di scrittura e quale. Non mi voglio azzardare, invece, a parlare della Bibbia e dello strano caso della Tiro d’Occidente, almeno per ora: ne so troppo poco e troppo poco so di questi popoli dell’Ovest, della loro lingua, della loro religione: non posso spiegare l’ignoto con l’ignoto. Ma la spinta ad approfondire quello che potrebbe essere ricostruito, certo questo libro la dà con forza. Mi piacerebbe, per esempio, poter recuperare almeno qualche brandello delle saghe di quelle figure divine fenicie, delle quali conosciamo quasi solo i nomi, fissati nelle iscrizioni, e che pure, in questo lontano Occidente furono fondatrici e patrone di insediamenti importanti. Non solo del più famoso Milqart, ma anche del suo enigmatico compagno Iolao e di Milk, che precede in Oriente Milqart e, forse, costituisce la prima parte del suo nome, e di Milk‘ashtart, il patrono di Leptis Magna, anche lui - qui e altrove - identificato con Eracle/Ercole.
Al di là di questi sogni, proprio nel campo della mia stretta specializzazione la lettura di queste pagine mi spinge a ripensare di nuovo e con una testa un po’ diversa a problemi accantonati da tanto tempo.
Per la scrittura - quei palindromi divini che ci sono saltati fuori a sorpresa - danno la voglia di capire meglio tempi e modi, ancora oscuri, che portarono i Greci ad adottare l’alfabeto fenicio, facendone cosa loro. Troppo spesso si rischia di dimenticare che i primi Greci che scrivevano - quelli dell’VIII secolo - lo facevano da destra a sinistra: anche loro, proprio come i Fenici. E che insieme ai segni, arrivano sempre anche i contenuti. E poi: significa davvero “in Tarshish”, allora, la prima riga della stele di Nora, e quanto segue può voler dire “quella (Tarshish) che è in Sardegna”. E poi, sulla base dei dati forniti dal libro, ha forse ragione F. M. Cross a datare il secondo frammento iscritto da Nora almeno all’XI secolo a.C.: una proposta che era stata finora generalmente respinta. Bisogna poi capire che significato aveva, dal punto di vista dei contatti con l’Oriente, la zona di Bosa - fuori dall’area normalmente attribuita alla colonizzazione fenicia - da dove proveniva un frammentino di iscrizione monumentale (ora è purtroppo perduto), che appare più antico della stele di Nora. Si deve dunque ricominciare a fare i conti con le datazioni alte delle fonti classiche. Forse essere disposti a reinterpretarle, a capirle davvero. Bisogna ricominciare a riflettere su un bel po’ di problemi antichi con occhi nuovi e angolature diverse, così ci suggerisce il libro, questo mi sembra ci imponga la ricerca di Sergio Frau. Per me comunque con nuovi occhiali.

*Docente di epigrafia semitica all’Università di Roma “La Sapienza”.
Postfazione alla prima edizione de “le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta”, aprile 2002. Pubblicato su “L’Unione Sarda” del 25 aprile 2002, con il titolo “Convinzioni da rivedere”.