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Il Velista / Alberto Casti

giovedì 30 dicembre 2004

Caporedattore di "Bolina".
Pubblicato su "Bolina" del maggio 2002, con il titolo "Le vere Colonne d’Ercole".

Proviamo a guardare il Mediterraneo in prospettiva, non dall’alto di una cartina geografica come siamo abituati, ma seguendo il trentaseiesimo parallelo di latitudine Nord sulla sfera di un mappamondo, partendo da Cipro, passando per Creta, Malta, fino ad approdare sulle coste tunisine. Lungo questo itinerario, la "rotta del sole" seguita dagli Antichi, passeremo così tra Turchia ed Egitto, tra la Grecia, la Libia, l’Italia e gli ampi Golfi della Sirte, fino quasi ad arrivare alle porte dell’antica città di Cartagine (le cui rovine si trovano oggi presso Tunisi).

Immaginiamo ora che le Colonne d’Ercole, cioè il punto che per l’antica Grecia rappresenta la fine del mondo conosciuto, non siano a Gibilterra come convenzionalmente accettato, bensì più a Est, all’interno del Mediterraneo, all’imboccatura o alla fine del Canale di Sicilia, tra quest’ultima e la costa della Tunisia.

Il Mediterraneo, la cosiddetta Culla delle Civiltà, ci appare subito ridotto nelle sue dimensioni, diviso in due: un mare interno e uno esterno. Superfici più piccole insomma, dove per necessità mutano i rapporti, le aree di influenza dei popoli che le abitano. Con lo spostamento di una sola pedina, quella delle Colonne d’Ercole, vacilla una buona fetta della storia istituzionalizzata.

Non si tratta di una magia, o peggio di un sortilegio, ma di un ragionamento tanto semplice, che una volta compreso ci si chiede come mai nessuno l’avesse pensato prima: le Colonne d’Ercole non sono a Gibilterra, ma al centro del Mar Mediterraneo; ne è convinto Sergio Frau, inviato de la Repubblica, cultore di Storia antica, e autore del libro fresco di stampa, le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta (672 pagine, edizioni Nur Neon).

Siamo intorno al 500 a.C., il Canale di Sicilia, caratterizzato da fondali fangosi molto bassi e irregolari, nasconde un passaggio, la via per i traffici col Mediterraneo Occidentale. Un punto strategico gelosamente sorvegliato da un abile popolo di navigatori: i Cartaginesi. Per i Greci e le genti che abitano il Mediterraneo Orientale quello Stretto tra la Sicilia e la Tunisia è invece un luogo proibito, un cimitero di navi affondate, il Canale dei Mostri.

Quando non riescono ad affondare le navi degli inseguitori, i velieri cartaginesi preferiscono gettarsi contro gli scogli piuttosto che svelare loro la rotta che conduce all’Eldorado del commercio antico. E così facendo riescono a preservare per almeno duecento anni la conoscenza di una parte del pianeta ai popoli del Mediterraneo Orientale.

Ora, la frase "Colonne d’Ercole", che designa il luogo oltre il quale non si può andare, compare per la prima volta nei testi antichi, nel 476 a.C., esattamente quando la punta della Sicilia e quella della Tunisia sono controllate dai Cartaginesi.

Allora qual è il luogo proibito, Gibilterra o il Canale di Sicilia? Perché pensare all’Oceano Atlantico se il limite oltre il quale nessuno osa spingersi si trova ancora prima di Cartagine? Questo è solo uno dei dubbi che minano l’originarietà dell’attuale collocazione della Colonne. Poi ci sono la testimonianze.

"L’Oceano - scrive Aristotele nei "Peri Kosmos" che vengono ripresi dal libro di Frau - penetra nel mare interno come in un porto, e allargandosi a poco a poco si estende abbracciando grandi golfi collegati l’uno con l’altro, ora sboccando in strette aperture, ora nuovamente allargandosi. Orbene, in primo luogo, si dice che, dalla parte destra per chi entra attraverso le Colonne d’Ercole, forma due golfi, che costituiscono le cosiddette Sirti, delle quali l’una è denominata Grande e l’altra Piccola". Le Sirti a destra dopo Gibilterra? Sì, ma molto dopo. Prima c’è tutta la costa del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia. Benché al tempo fosse tutta Lybia, le distanze sono troppo elevate perché un saggio filosofo come Aristotele potesse dire una mostruosità del genere.

Qualcosa allora non quadra.

I Greci, e gli altri popoli del bacino orientale del Mediterraneo, restarono chiusi tra Mare Egeo e il fangoso bacino delle Sirti per almeno due secoli, per lo meno per tutto il periodo in cui i Cartaginesi detennero il monopolio dei commerci nel Mediterraneo Occidentale.

Fu dunque lungo le sponde del Canale di Sicilia che, secondo la mitologia greca, Ercole, nell’undicesima delle sue dodici fatiche, pose le celebri colonne a segnare la fine del mondo conosciuto?

Le prove che ha raccolto Frau dicono di sì. E molte altre descrizioni tratte da testi di antichi saggi e studiosi, quali Platone, Teofrasto, Omero, Plutarco, Erodoto e altri, dimostrano quanto calzante sia la corrispondenza tra le Colonne d’Ercole da loro descritte, e l’attuale Canale di Sicilia.

"Il mare al di là delle colonne - scrive Aristotele nei Meteorologica - è poco profondo a causa del fango, ma non è ventoso perché si trova come in un avvallamento". Fondali fangosi oltre Gibilterra? Acque poco profonde? Minimo sono trecento metri! Poco vento in Oceano Atlantico?

La tesi convenzionale effettivamente sembra fare acqua da tutte le parti. Le prove raccolte da Frau in favore della sua ricostruzione sono invece tante, troppe per essere anche solo vagamente riassunte in questa sede. Se l’autore ha ragione, se realmente le Colonne d’Ercole non sarebbero mai dovute essere spostate dal Mediterraneo, chi allora le avrebbe poi trasferite a Gibilterra, e perché?

L’indiziato principale è Eratostene, gran Bibliotecario di Alessandria, considerato il padre della Geografia Moderna. Memore delle conquiste di Alessandro Magno che ridisegnò i confini dell’Oriente, Eratostene quando il potere marittimo di Cartagine era già svanito, riportò nero su bianco le conoscenze acquisite in una mappa del globo che aveva ai suoi antipodi, il fiume Gange e Gibilterra. Da quel momento le Colonne d’Ercole, il limite del mondo conosciuto si spostò per sempre a Occidente e nessuno se ne accorse mai.

Atlantide: mito o isola ritrovata?

Ma torniamo alle Colonne d’Ercole, quelle di Frau insomma, nel Canale di Sicilia. Proseguiamo il nostro viaggio, ora guidati da Platone: "Davanti a quello stretto che chiamate Colonne d’Eracle (il nome greco di Ercole, ndr) c’era un’isola e da quest’isola si raggiungevano le altre isole e il continente che tutto circonda". È Crizia che parla nell’omonimo dialogo platonico, e racconta di Atlantide, l’isola nella quale, in tempi remoti, si sarebbe sviluppata una progredita civiltà e che poi improvvisamente svanì sommersa tra le acque dell’Oceano.

Oltre le Colonne d’Ercole? Un’isola da cui si raggiungono altre isole e il continente che tutto circonda?"L’impressione - commenta l’autore - è che Platone stia parlando proprio del Mediterraneo Occidentale". L’ipotesi a cui Frau piano piano ci vuole condurre è proprio quella di un’Atlantide ritrovata, in Mediterraneo. Molti l’hanno cercata in mezzo all’Oceano Atlantico, ma perché le Colonne d’Ercole erano ancora a Gibilterra, di fronte a un "continente che tutto circonda" anche lui scomparso.

E se invece le colonne fossero proprio lì, dove Frau dice che sono? Uscendone ci troveremmo davanti a un’isola, sì. E che isola! Al tempo dei Greci era considerata la più grande del mondo: la Sardegna.

Atlantide, l’Isola Sacra, potrebbe essere dunque la Sardegna? "Ci sono parecchie coincidenze. L’isola - dice con cautela Frau - ha tutti i requisiti archeologici e metallurgici per corrispondere esattamente con la descrizione che ci ha tramandato Platone".

Ma Frau si spinge oltre: ci sono strabilianti similitudini tra Sardegna e Atlantide, ma anche tra queste e la fantastica Isola dei Beati, o Scherìa, descritta da Omero nell’Odissea.

Le coincidenze in effetti sono stupefacenti. Solo qualche assaggio: tutte le isole sono accomunate da un clima temperato e ventoso; tutte erano eccezionalmente fertili e le piante fruttavano due volte l’anno. L’architettura della città di Atlantide era templare con un palazzo del re, piazze, edifici realizzati con pietre multicolori. Identica la descrizione di Scherìa le cui pietre erano estratte dai monti; la Sardegna nasconde vasti insediamenti nuragici (8.000 di cui solo 16 studiati scientificamente), le famose torri o "nuraghes", che poi ritroviamo in Corsica e in tutto il Mediterraneo.

Ad Atlantide come a Scherìa si venerava il dio del mare Poseidone. In suo onore venivano sacrificati dei tori. In Sardegna, le navicelle in bronzo trovate nelle antiche tombe ne rivelano il carattere votivo e religioso. Il dio delle civiltà nuragiche è il Dio Toro che protegge le navi e gli equipaggi imbarcati. Si continua ancora con tante coincidenze nel nome dei re, nel sistema politico cantonale tipico della Sardegna antica, nelle risorse minerarie presenti sull’isola; tutti e tre i popoli sono abilissimi navigatori particolarmente sviluppati nell’arte nautica e adottano gli stessi sistemi portuali.

Le similitudini continuano incessantemente pagina dopo pagina, nel libro di Frau, fino ad arrivare alle sorgenti solfuree, le conformazioni dell’isola stessa, la longevità delle genti, i giochi praticati, il flagello della malaria che fu causa di un ingente numero di vittime e sul cataclisma che si abbatté sull’isola spazzando via città e templi: Atlantide distrutta dai terremoti e ingoiata dal mare, Scherìa, sommersa da una montagna di fango, infine la Sardegna che circa tremila anni fa, nel quaternario, fu sconquassata da un terribile terremoto.

A questo sarebbe seguito un maremoto tanto impetuoso e grande che attraversando il Golfo di Cagliari e quello di Oristano avrebbe sommerso la grande pianura del Campidano. Forse non è un caso allora che questa zona sia caratterizzata da zone paludose e dalla presenza di laghi salati.

"Shardana" il popolo dell’antica Sardegna?

Gli abitanti di quest’isola fertile e ricca di metalli, che sorvegliavano tutti i lati della costa sarda dal picco delle roccaforti nuragiche potrebbero essere con buona probabilità gli Shardana, straordinari navigatori, guerrieri, conquistatori e pirati di cui ci hanno tramandato il ritratto gli antichi Egizi che prima li ebbero come alleati, poi come nemici.

A legare "Shardana" a "Sardegna", non è solo una somiglianza fonetica, né l’etimologia della parola "Shardan", "il re delle fortezze", facilmente riconducibile all’eccezionale presenza di insediamenti nuragici in Sardegna (la maggior parte ancora sotto terra). C’è tutta una serie di elementi di carattere iconografico ad accostare questo nome all’antico popolo dei Sardi. Ed è una tesi piuttosto consolidata in tutto mondo accademico.

Antichi dipinti egizi raffigurano gli Shardana completamente rasati, muniti di un elmo rotondo con due corna di toro e una protuberanza centrale a forma di dischetto. Erano armati con lunghe lance, lunghe spade e uno scudo rotondo. Un’immagine che coincide in maniera strabiliante con i bronzetti nuragici ritrovati in Sardegna e risalenti addirittura all’età del bronzo. "Appartenenti ai cosiddetti "Popoli del Mare" gli Shardana -spiega Frau - compaiono per la prima volta intorno al 1270 a.C. come mercenari al servizio di Ramses II. Sono le truppe scelte del faraone. Poi, nel 1178, uniti insieme ai Lebu (Libici), gli Shekelesh (Siculi), i Turscha (Tirreni), e i Filistei, assaltano l’Egitto nel tentativo di sottometterlo, ma vengono sconfitti nel corso di una battaglia navale".

"Improvvisamente, tre anni dopo, nel 1175 (guarda caso circa tremila anni fa - conclude Frau - proprio quando la Sardegna fu investita da quel terribile maremoto, ndr), avviene quella che molti studiosi definiscono "una straziante migrazione". Gli Shardana compaiono nuovamente sulle sponde egizie, questa volta però con trireme cariche di buoi, carri, donne e bambini. Come se stessero scappando da qualcosa. È anche da questo che mi è venuta l’idea che ci potesse essere qualcosa di terribile che li stesse spingendo a fuggire".

Già, terribile, tanto terribile da gettarli allo scoperto verso gli Egiziani che, c’era da aspettarselo, sterminarono senza pietà i vecchi nemici.

Ma perché cercavano rifugio sulle coste del Nord Africa? Forse la loro isola era stata colpita da un cataclisma? Un terremoto? Un maremoto? Un’isola che affonda? Sardegna, Atlantide, Scherìa? Tanti dubbi, tante domande che attendono ancora una risposta. La Sardegna con i suoi 8.000 insediamenti nuragici, altri ancora sepolti dal fango e quella immensa città che, si dice, si nasconda al di sotto del Golfo di Cagliari, potrebbe forse volerci dire qualcosa?