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L’Archeologo. Sebastiano Tusa*

venerdì 14 gennaio 2005

A me forse spetta - come primo - il compito ingrato di entrare nel merito della fatica di Frau, perché ovviamente chi mi ha preceduto si è potuto esimere dall’andare nei dettagli. Io non lo posso fare essendo un cosiddetto addetto ai lavori. E, in questo caso, a questi lavori.

Per cui inserendomi anche da un punto di vista atmosferico, cioè nell’atmosfera del libro, assumo quasi la funzione di pubblico ministero in questa “inchiesta” così come viene coloratamente e coloristicamente definito questo bellissimo volume. Innanzitutto vorrei premettere che il volume, il lavoro è di estremo gradimento, almeno per quanto mi riguarda. Dimostra una notevolissima e approfondita conoscenza della materia e quindi diciamo non prende assolutamente alcuna scorciatoia, ma ogni elemento, ogni teoria, ogni ipotesi, ancorché criticabile, comunque scaturisce da un’indagine rigorosa del dato sia esso archeologico sia esso testuale sia esso filologico sia esso etimologico. Io vorrei solamente - data, ovviamente, la ristrettezza del tempo - puntualizzare alcuni degli elementi che mi sono sembrati più interessanti e da approfondire. Innanzitutto - anche perché questo è uno degli argomenti per me più cari, tutta la mia attività di archeologo sul campo e anche teorico... - il concetto di Frontiera, che in questo volume viene fuori, attraverso tutta una serie di elementi. Viene fuori dal tema dominante cioè dal concetto di “limen” che è costituito dalle Colonne d’Ercole che si muovono a seconda dei vari soggetti che le agitano, dei vari periodi delle varie culture, dei vari ambienti entro i quali si forma questa “metafora”.
Il concetto di Frontiera che - giustamente, e questo mi sembra uno dei caratteri fondamentali di questa fatica - viene visto come un concetto in divenire: cioè non è statico nel Mediterraneo, è un concetto che si muove a seconda delle epoche. E si muove non solo in senso quantitativamente e qualitativamente secondo un trend ascensionale, ma si muove anche tornando indietro. Perché per esempio se noi vediamo quale poteva essere il concetto di Frontiera nel Mediterraneo addirittura nel 3° millennio a.C., o anche prima in pieno neolitico - se giudichiamo il concetto di Frontiera da uno degli indicatori fondamentali nell’ambito della trasmigrazione o dello spostamento di idee e merci in pieno neolitico, quindi parliamo di 7°, 6°, 5° millennio a.C. - vediamo che tutto il Mediterraneo è inserito nell’orbita di una frontiera che lo ingloba dalla Spagna fino al Vicino Oriente. L’indicatore qual è? L’ossidiana. L’ossidiana si sposta nel Mediterraneo in lungo e in largo, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Andiamo avanti cronologicamente, e arriviamo ad uno dei momenti più interessanti e più attuali, secondo me, anche da un punto di vista politico. Si parla tanto di Europa, di formazione dell’Europa, d’identità europea... Ebbene uno dei momenti secondo me fondamentali per incominciare a vedere quest’Europa nella più remota antichità è nei secoli tra la metà e la fine del 3° millennio a.C., cioè quel momento che vede il cosiddetto “bicchiere campaniforme” diffondersi in tutta Europa e nel Mediterraneo. Anche in quel periodo la Frontiera è estrema: praticamente andiamo dalla Scozia fino al Marocco, accomunati da un identico manufatto che si sposta di migliaia di chilometri. Andiamo dal Sud della Spagna fino ai Balcani, inglobando la Sicilia e il Nord Africa. Quindi questo concetto di Frontiera è un po’ elastico: si allarga, si restringe a seconda dei momenti. E questo, secondo me, viene fuori molto chiaramente dal libro di Frau, perché si vede che è un concetto-metafora che risponde poi a precise caratterizzazioni, precise motivazioni di carattere economico, di carattere commerciale, di carattere ideologico, di carattere politico, militare, e via discorrendo. A me, certo - da isolano o pseudo-isolano - l’avere puntualizzato il fatto che in un certo momento della storia del Mediterraneo questa metafora delle Colonne d’Ercole siano tra la Sicilia e il Nord Africa ovviamente non può fare che piacere, perché puntualizza e enfatizza il ruolo centrale che ha sempre avuto quest’isola nello scacchiere mediterraneo. Però vorrei assottigliare un po’, dettagliare un po’ questo concetto, quindi andare un po’ avanti rispetto a quello che nel libro viene dottamente e diffusamente enfatizzato: la Sicilia stessa è frontiera in quel periodo, la Sicilia è spaccata in due o in tre possiamo dire grosso modo tra l’XI, il X secolo a.C. fino alla conquista romana, cioè fino al 241, fino a quando con la battaglia delle Egadi le sorti del Mediterraneo vengono segnate definitivamente per molti secoli. E, in tutti questi secoli, la Sicilia è proprio Frontiera, quindi questa linea, questa metafora è una metafora che forse andrebbe un po’ estesa, ingloberebbe anche parte di questo piccolo continente che è la Sicilia, che in sé però rappresenta forse tutte le contraddizioni del Mediterraneo di quel periodo: perché abbiamo l’Oriente, abbiamo l’Occidente, e abbiamo una terza identità ancora piuttosto nebulosa che sono questi Elimi che si incuneano tra i Cartaginesi o Fenici prima e i Greci; questi Elimi che noi studiosi ce li tiriamo un po’: io personalmente ritengo che siano di origine peninsulare; altri studiosi, tra cui mio padre, ritengono che siano di origine orientale: quindi, anche in famiglia, come vedete... Le lacerazioni attraversano anche le famiglie dal punto di vista scientifico...
Questo per dire che siamo appunto in un campo ancora estremamente nebuloso. Un ulteriore elemento che vorrei puntualizzare sempre in maniera estremamente stringata è la qualità: si parla tanto, oggi, in tutti i campi di eccellenza, di qualità: ecco questo libro secondo me puntualizza anche questo aspetto della qualità. Si può dire tutto, possiamo dire tutto - sia gli addetti ai lavori sia i non addetti ai lavori, come nel caso dell’amico Frau - però, ecco non dobbiamo mai derogare da un concetto essenziale cioè quello della qualità. E questo libro è un libro di qualità, questo lo vorrei puntualizzare. Perché al di là di tanti concetti - per esempio personalmente io non vedo molto questa fangosità dello stretto di Sicilia, secondo me forse si riferisce a qualcosa di diverso che non proprio lo stretto di Sicilia; questo andare fino in fondo nel vedere determinate situazioni batimetriche come possibile, avvalorare la teoria delle Colonne d’Ercole nello Stretto di Sicilia, ecco io lì forse ci andrei un po’ cauto... - però, ecco, al di là delle posizioni che possono essere diverse, su un punto bisogna tutti concordare: sulla qualità. Le varie teorie, le varie ipotesi sono basate su un’indagine a 360°. E forse su questo noi, addetti ai lavori, dovremmo un tantino meditare e acquisire una certa lezione di metodo, perché forse... Almeno io, quando leggevo il libro, meditavo e dicevo: “Ma forse in una cosa ho sbagliato... Sarebbe forse meglio acquisire dal mestiere del giornalista qualcosa che ci può aiutare...”. Probabilmente lui riesce ad andare fino in fondo laddove invece noi vediamo le cose attraverso quella che è l’angolazione del nostro punto di vista di scienziati, o di archeologia, o di filologia, o di storia antica, o di storia economica; quando invece il giornalista cerca - nel momento in cui ricostruisce un fatto - lo ricostruisce andando fino in fondo a 360°.
Quindi questa è una lezione di metodo che io personalmente mi sento di acquisire: cioè di cercare di costruire teorie - e in archeologia l’aspetto teorico è fondamentale, come ben sappiamo - però partendo non dall’enfatizzazione di quella che può essere la prova che noi stessi tiriamo fuori dal nostro orticello - cioè il nostro scavo, o i metalli del collega Giardino, o i coccetti micenei del collega Marazzi - ma cerchiamo - ecco questa lezione io la acquisisco, e anzi ne sono grato - cerchiamo di vedere le cose a 360°, quindi costruire le teorie su una molteplicità di dati. Un’ultimissima cosa e concludo. Un contributo che vorrei portare (un contributo che scaturisce anche da ricerche effettuate con l’aiuto e col concorso di questo ateneo dove io sono molto onorato di insegnare e che quindi sono elementi nuovi, dati nuovi scientifici che si inseriscono in questo contesto scaturiti da ricerche archeologiche cui partecipano anche gli allievi di questo ateneo, che io qui vedo e sono molto contento della loro presenza), è Pantelleria, che è nel cuore delle “nuove” Colonne d’Ercole... Queste ricerche che stiamo conducendo lì, da qualche anno, dopo oltre un secolo di silenzio - le ultime ricerche furono fatte nel 1894 da Paolo Orsi, siamo tornati nel 1997: quindi oltre un secolo...- stanno cambiando un po’ il quadro del Mediterraneo. Perché da un lato vediamo una realtà di XVI e XV secolo a.C. che emerge. Era già nota, però ora emerge proprio nel quadro di un tessuto di relazioni commerciali mediterranee. Quindi quelle relazioni micenee che fino a poco tempo fa pensavamo si limitassero alla Sicilia orientale, alle Eolie, adesso invadono anche la Sicilia meridionale, il Canale di Sicilia, Pantelleria, e anche poi il nord Africa attraverso tutta una serie di rinvenimenti che stanno venendo fuori recentissimamente. Ma non solo in epoca preistorica, ma anche in epoca romana: le recenti scoperte dei tre ritratti imperiali (che abbiamo fatto proprio nei giorni di Ferragosto di quest’anno negli scavi dell’acropoli di Pantelleria), tre ritratti imperiali rappresentano la presenza forte di Roma in quest’isola: una presenza con i segni del potere che ne rendono quindi conto, ne danno conto della centralità di quest’isola. Per cui, forse, in una riedizione di questo libro Pantelleria potrebbe avere un ruolo; è citata l’ho visto citata diverse volte, però, potrebbe avere forse un ruolo maggiore e sicuramente l’avrà avuto, perché se è vero - come personalmente mi sento di sposare questa tesi... - la metafora delle Colonne d’Ercole in un certo periodo passava attraverso quella diagonale tra la Sicilia e Capo Bon, indubbiamente un ruolo quest’isola lo dovette avere. Grazie.

*Direttore del Servizio Beni Archeologici della Soprintendenza di Trapani. Intervento all’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa del 17 dicembre 2003.