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Gli Autori in mostra / Strana, davvero strana quest’isola dei misteri, di Mario Garbati

venerdì 21 gennaio 2005

Quando visito un sito archeologico a me sconosciuto, provo sempre l’eccitazione di una scoperta. Se poi le rovine, i muri antichi, fanno spendere difficoltà a trovarli, mi sento ancor di più, un esploratore.

Prendi una regione (può essere in Tunisia, in Portogallo, Turchia, Jugoslavia) dove tanta storia e preistoria è soltanto affiorante, non recintata e non ancora esattamente identificata da biglietti d’ingresso e percorsi guidati...
I pellegrinaggi archeologici in Sardegna sono più sistematici.
Un pizzico di solitudine non guasta.
Scatto fotografie per i miei mille progetti e penso: “Ma guarda in che posto (gli antichi) avevano costruito, ma come e perché l’hanno messo, spesso, così fuori dai cammini attuali” (vedere Tempio punico sui monti di Vallermosa).
Allora azzardo ipotesi da ignorante e totale neofita.
E mi trovo inevitabilmente ad elucubrare sul carattere degli abitatori antichi dell’isola dove vivo, partendo dal preconcetto che quel carattere sia lo stesso che contraddistingue i Sardi attuali (Teoria diffusa: “Così di sempre da sempre”).
Alcuni esempi.
Ma guarda quelle tombe in uno splendido anfiteatro (vedere Villaperuccio: Montessu...), ultimo riposo di civiltà venute a colonizzare l’isola, di tanti stili e culture da popoli lontani. E i Sardi che - ci dicono sempre - se ne stavano a guardare, o partecipavano solo come manovalanze artigiane. Possibile?
Quel pozzo sacro (vedere, a Orune, Su Tempiesu), di “chiara impronta mediorientale” - ci dicono sempre - eretto al fondo di una stretta valle spersa tra i monti, ma rivolta verso il mare solo qualche monte più in là. E i Sardi, anche qui, che temevano (temono) il mare, e che stavano solo a guardare - ci dicono sempre - o che - e anche questo ce lo hanno sempre detto - costruivano solo sotto la direzione di un magnifico architetto sempre venuto da fuori.
Indubbiamente la mia generazione non ha goduto di una cultura scolastica che la sollecitasse allo studio della storia e preistoria dell’isola.
Cosa resta in mano: qualche briciola di luoghi comuni sui nuraghi, e sui bronzetti che venivano usati e venduti come ex voto, e anche esportati...
E anche l’ossidiana veniva esportata...
Stupore, quindi, quando intuisci una organizzazione di costruzioni destinate alle festività religiose degli antichi nuragici (vedere Altopiano di Serri), tanto simili alle capanne o casupole che anche attualmente contornano tante chiese campestri per ospitare fedeli e mercanti nelle annuali sagre religiose.
Commozione, quando ti appare il bacino ovale ad anfiteatro (vedere Bitti: Su Romanzesu) che riceveva l’acqua vitale del vicino pozzo sacro. E non fai un grande sforzo di immaginazione a vedere gli antichi che sostavano sui gradoni o compivano abluzioni con fervida concentrazione.
Mistero, profondo, quando contempli l’altare preistorico (vedere Monte d’Accoddi, vicino Sassari), unico nel Mediterraneo e anch’esso di memoria mediorientale. Il giorno che lo visitai (ero nella mia di preistoria), era ancora un’informe collinetta con una pedana sterrata che la raggiungeva in cima; tutto piatto e secco, intorno. Da un’auto scesero due bambini che, contenti e con paletta e secchiello si diressero correndo verso la base del monumento. La femminuccia, più grande, disse: “Dai che dobbiamo prendere fossili per diddina (madrina)!”.
Già archeologi. O tombaroli in erba?