Home > Atlantikà > Una mostra, le prove > Parole in mostra. Interventi di Andrea Sechi, Emanuele Corona, Efisio (...)

Parole in mostra. Interventi di Andrea Sechi, Emanuele Corona, Efisio Serrenti, Mario Tozzi, Attilio Mastino

venerdì 21 gennaio 2005

Andrea Sechi (Vicepresidente della Sogaer, il Padrone di Casa di una “Casa” davvero ospitale):
«Noi teniamo moltissimo come società dell’aeroporto a creare un collegamento tra l’aeroporto e il mondo che ci circonda. Riteniamo che l’aeroporto sia un punto di arrivo per chi arriva, ma anche un punto di partenza per tutte le iniziative e le attività che in qualche modo mettono l’aeroporto un po’ al centro di questa organizzazione che un po’ è collegarsi con la gente col nostro territorio. Ieri sera ho avuto il piacere di conoscere Sergio Frau e tutti gli altri e quello che mi ha davvero colpito è stata la volontà e l’entusiamo di partire veramente dalla nostra città - e quindi anche dall’aeroporto - per lanciare un messaggio forte: un segnale di una cultura che sia una cultura di approfondimento, di conoscere le nostre radici, quelle della nostra gente. Un aeroporto nuovo, giovane adesso - come può essere questo, quindi, costruito architettonicamente anche secondo le nuove procedure che lo mettono bene al passo con i tempi - vuole anche essere un modo per contribuire allo sviluppo e alla continuazione di quel discorso culturale che - diciamocelo - noi, anche come società, cerchiamo di fare mettendo a disposizione non solamente i locali, che sarebbe una cosa fin troppo semplice, ma anche l’attività del nostro personale e soprattutto il nostro entusiamo. Quindi ringrazio tutti, un augurio di buon lavoro, io do la parola al presidente Serrenti e poi naturalmente a tutti gli altri che man mano interverranno».

Emanuele Corona (Rotary club di Quartu):
«... Io non voglio entrare nel merito scientifico se le idee di Sergio Frau siano quelle vere o non quelle vere... Io, però, ho visto che ha avuto la recensione in una grossa rivista internazionale francese che al suo libro ha dedicato molte pagine di interventi: è un fatto culturalmente molto importante per la Sardegna. Sia per quegli aspetti che può creare un problema del genere, ma soprattutto perché mette movimento - in un ambiente statico, culturale - tra cose così assodate delle cosiddette accademie che poi non si possono mai dubitare. Mentre invece, qualche volta, anche dal dubbio possono nascere certamente delle nuove ricerche. E, certamente, un arricchimento culturale...».

Efisio Serrenti (Presidente del Consiglio Regionale):
«Mesi fa Frau venne da me per parlarmi del suo lavoro, della sua ricerca, trascorremmo un’oretta insieme. Mi ha raccontato in maniera affascinante la sua idea, il suo lavoro, mi ha presentato il suo libro. Essendo io un appassionato delle cose della Sardegna e anche un convinto sostenitore che la Sardegna ha molto, ma molto di più di quello che finora ha dato, da dare al mondo, anche in termini di miti, di storie, di cultura... La Sardegna è una delle terre più antiche del mondo: una delle prime terre emerse nel mondo.
Quindi ha una sua lunghissima storia che conosciamo solamente in parte. Conosciamo, purtroppo, poco anche la storia recente. Ad esempio del Medioevo sappiamo davvero pochissimo: non abbiamo ancora trovato quelle testimonianze che stiamo cercando, ma che prima o poi salteranno fuori. Per tornare a ciò che dicevo, io sono convinto che la Sardegna, in termini culturali, può offrire la sua storia. E si tratta di un elemento fortemente accattivante non solo per i sardi studiosi ma anche per chi ci viene in Sardegna. Se noi “utilizziamo” anche il libro di Frau - ... non sono in grado di valutare le fondamenta scientifiche di questa ricerca; non entro nel merito di questo discorso... - ma già solo come mito da proporre, be’ è un mito davvero affascinante. Di per sé questa è una storia che pone la Sardegna nelle condizioni di offrire qualcosa su cui fantasticare a chiunque arrivi in Sardegna. La nostra non è una terra come tutte le altre: non solo perché è un’isola, perché viviamo in questo clima, perché abbiamo questo mare particolare. Lo è soprattutto perché ci abita questo popolo e perché la Sardegna è stata in tutti questi anni il crocevia della storia di tutte le civiltà che nel Mediterraneo si sono sviluppate.
Se è vero che le Colonne d’Ercole non sono dove abbiamo sempre pensato che fossero, ma erano invece situate da tutt’altra parte e che quindi la Sardegna fosse in realtà Atlantide, bene!
Si apre un capitolo - io credo, interessantissimo - da studiare per chi deve studiare, ma anche da stimolare nuove fantasie, nuove ipotesi di riconsiderazione culturale storica di questa terra, che senz’altro promette grandi cose. Sono del parere che noi dobbiamo guardare al nostro futuro, naturalmente producendo tutto quello che serve nel mondo dell’agricoltura, dell’industria ecc.. Ma, soprattutto, noi dobbiamo proporre e vendere la nostra cultura. Ecco: questo è un prodotto sul quale nessuno può entrare in competizione con noi, ce l’abbiamo solo noi. E se poi è anche vero che Atlantide era questa nostra, be’ noi abbiamo trovato un prodotto da “vendere” - mi perdoni Frau se uso questo termine, ma io mi occupo di politica - sul quale gli altri non possono certo farci concorrenza.
Per concludere io voglio ringraziare davvero Sergio Frau per aver fatto questo lavoro. Io, come Presidente del Consiglio regionale, non ho fatto altro che raccogliere il suo entusiasmo: sostenerlo, perché questo libro non fosse solo venduto nelle librerie, ma fosse anche un’idea da mostrare».

Mario Tozzi (geologo Cnr):
«Tutti coloro che sono qui, sono testimoni di una rivoluzione - quanto piccola o quanto grande, poi lo vedremo - che porterà, poi, alla fine, a dover necessariamente riscrivere i libri di scuola. I testi che abbiamo usato sulla storia e la geografia di un tempo, sono frutto di una nostra interpretazione delle cose che vedevamo in giro per il Mediterraneo. Voglio dire di noi uomini. E questa interpretazione era tutta, sempre, focalizzata sul mondo greco come è anche giusto che sia: perché è depositario del nostro mitico passato collettivo. Noi abbiamo imparato la storia così: c’erano gli Uomini Primitivi (qualcuno può azzardare un Neolitico e un Paleolitico...); poi ci sono state le Civiltà Orientali (di cui ricordiamo a stento gli Assiri e i Babilonesi); e poi ci sono stati gli Egiziani, e siamo passati ai Greci. Sì, certo, c’è stata qualche altra cosa in mezzo... i Fenici, e poi ci sono stati i Romani...
Così l’abbiamo imparata...
Ho proprio l’impressione che dobbiamo riscriverla daccapo, almeno una certa parte, per restituire importanza a un buco, a un posto che avevamo lasciato vuoto e che avevamo pensato di riempire con quanto usciva fuori dalle altre parti. Questa lacuna, questa mancanza di informazione, questa ricostruzione storica lacunosa era in realtà occupata da un paese, da un posto, da un popolo. E questo era il Popolo dei Sardi: era la Sardegna, che non è stata mai illuminata dalla storia se non per quello che riguarda i nuraghi - come mi dicono di chiamarli anche se a me piacerebbe di più “nuraghes” - e basta...
Invece quello spazio che le è stato sottratto, quell’importanza che è stata data ai Greci, quello che è stato costruito attorno non era corretto in realtà.
Se l’ipotesi di Sergio - e anzi, ormai, la sua teoria, che trova sempre maggiori conferme nel mondo archeologico come in quello geologico o in altri campi - si affermerà definitivamente, bisogna proprio riscriverli quei libri.
E quando li riscriveremo, dovremo vedere che, tra gli Egiziani e i Greci, c’erano i Sardi. E che, forse, pure gli Etruschi erano Sardi. E che, dunque, da questo punto di vista voi siete coloro che discendono da avi che avevano cambiato la storia, e che poi, invece, ne sono stati dimenticati.
Dimenticati per una causa geologica.
Lì è intervenuto il mio piccolo lavoro sul campo di verifica delle ipotesi di Sergio: e cioè per questa (forse contemporanea) azione di una grande ondata di marea, di un maremoto molto potente, molto forte, e magari di crisi sismiche (le chiamano “tempeste sismiche”), reiterate, che attorno al 1200 a.C. hanno cambiato il volto di questa terra. Per cui, poi, i Sardi sono diventati coloro che si arroccavano, coloro che avevano paura del mare, che non lo amavano affatto... (Immaginatevi un po’ se in un’isola ci può essere gente che non è avvezza all’uso del mare...).
Dimenticati poi per una causa geologica. E riscoperti solo per i nuraghi...
Quando ho letto il libro di Sergio il primo dubbio che mi veniva è che non si conoscevano al mondo maremoti con onde tanto alte. Insomma per darvi un’idea: i maremoti più potenti conosciuti arrivavano al massimo a 20/25 m di onda. Oddio, è sempre un’onda possente dell’altezza di un palazzo che ti arriva con forza su una costa... Il termine tsunami con il quale si descrivono questi maremoti rende bene l’idea di quello che fa: significa “onda nel porto” perché faceva i danni maggiori nel porto; per esempio il terremoto di Messina nel 1908 ha sviluppato un maremoto di una dozzina di metri e ha fatto danni molto consistenti. Però, perché un maremoto arrivi in Sardegna - una terra ritenuta sempre tranquilla dal punto di vista sismico e anche vulcanico attualmente, e da giù, da qui o da qualche altra parte delle sue coste arrivi ad abbattere una reggia nuragica come quella di Barumini - ebbene 20/25 metri d’onda, non bastano.
Proprio in questi ultimi anni, però, sono venute fuori testimonianze da tante parti del mondo in cui si sono conosciuti maremoti alti - e io stesso sono rimasto strabiliato a vederlo documentato - anche 500 metri.
Se arriva una montagna d’acqua come quella - e i casi sono ormai testimoniati in Alaska, in Canada, e alle isole Canarie - significa che per esempio un maremoto del genere ricostruito alle isole Canarie arriva in Florida (quindi dall’altra parte dell’Atlantico) ancora con 50 metri d’onda. Sono mostri.
Sono mostri che generano incubi. Perché per prima cosa ti abbattono: hanno cioè la forza di arrivare da qui, da Cagliari, fino a Barumini. Un megatsunami così ha la forza di abbattere tutto quello che trova per strada e ha la forza di lasciare, una volta che si ritira, la palude, il disastro, il fango... Lascia fango a terra, lascia fango nei porti, li rende inutilizzabili, sconcerta le persone, gli fa insorgere una paura indelebile del mare, perché in quel caso è il mare quello che porta il disastro.
Si è spesso discusso della presenza dei porti nuragici. Addirittura a un certo punto venivano negati: i Sardi abitavano tutti dentro la Sardegna, nessuno si muoveva per mare, quindi non facevano nemmeno i porti...
Forse, in realtà, invece erano stati davvero seppelliti dal fango, da quel fango che poi si vede bene in mostra nelle straordinarie immagini di Barumini nel 1938, prima di essere riesumato... Ed è quello un fango che da qualche parte deve pur venire. Questa è stata la prima idea-forza geologica che mi ha interessato...
È, dunque, possibile che avvengano disastri di questo tipo...
Chiamarli disastri in realtà...
Quella è l’evoluzione naturale della terra: la terra è fatta così, di terremoti, di vulcani, di eruzioni ...
Non è che sono disastrosi in sé: siamo noi a metterci in posti dove è pericoloso stare.
Il secondo contributo nostro - come geologi - è nel vedere (nella descrizione di Platone che Sergio riporta nel libro) che si parlava di questa isola ricca di metalli: si narrava del fatto che ci fosse argento, al tempo ritenuto più prezioso dell’oro. Effettivamente la Sardegna è stata il distretto minerario più importante d’Europa anche in tempi moderni, più importante del bacino della Ruhr che è pure quello che noi ricordiamo in Europa per il carbone. E tutti la conoscevano, la presenza di questi minerali in Sardegna: fin dalla notte dei tempi già si scavavano miniere che erano dei semplici buchi in pratica, che si vedono ancora oggi, basta andarsi a fare un giro nel parco geominerario di Montevecchio per scoprirli: sono dei forni, delle spaccature da cui già si cavava un minerale di piombo che era ricchissimo d’argento.
Ancora oggi se prendete qualcuna di quelle galene si vede bene come abbia una lucentezza diversa dall’opacità del piombo.
Dunque era davvero l’Isola dell’Argento.
La geologia ci conferma che la Sardegna da questo punto di vista era straordinariamente ricca e ci offre un panorama molto prossimo alle idee di Frau. E in più anzi spero che ci renderemo presto protagonisti di una campagna geologica nuova in Sardegna, nel Campidano, che permetta di verificare ancora meglio l’ipotesi di Sergio scavando, facendo dei sondaggi, dei pozzi che ci facciano vedere se in profondità si ritrova la traccia di questa grande marea di fango che a un certo punto ha investito l’isola.
Io, proprio come geologo, ho trovato molto suggestiva l’ipotesi e vi ho trovato dei punti fermi. Ho sempre bisogno di rocce, di pietre, se no non è che mi convinco facilmente: lo devo vedere il fango, analizzarlo. Devo vedere queste cose e devo vedere se sono possibili. E queste cose, qui, le abbiamo viste, sul terreno, insieme. Del resto è una ricerca che potrà ancora andare avanti ed essere ancora fruttuosa. Ma la cosa, però, più bella è pensare che mettendo insieme cose molto diverse, l’archeologia soprattutto naturalmente, ma anche l’indagine linguistica, l’indagine del paesaggio, la geologia, le fonti storiche ovviamente, la rilettura dei testi platonici, la filosofia... mettendo insieme tutte queste cose un signore - che non c’entra niente in particolare con nessuna di queste perché, poi, lui fa il giornalista - che non proviene dal mondo accademico del quale invece facciamo parte noi, abbia rivalutato quello che è il ruolo dell’outsider, cioè di colui che da fuori dà un punto di vista diverso a una cosa che tu avevi sotto gli occhi da sempre: l’Isola di Atlante non era sparita sott’acqua, era stata schiaffeggiata dall’acqua, ma stava ancora lì.
Questo ruolo dall’esterno - dell’outsider, appunto - nei processi di conoscenza scientifica è molto importante. Noi potremmo immaginare che la conoscenza funzioni così: uno prende una notizia un’informazione, poi ce n’è un altro, un dato su un dato, un dato su un dato e - piano piano - costruiamo una montagna di dati. E, quindi, abbiamo accumulato conoscenza. Questo è vero, ma non è il progresso della scienza questo: il progresso della scienza procede per rivoluzioni, per cambiamenti immediati di paradigma, come si dice. Faccio un esempio: per la terra si è pensato per tanto tempo che fosse un pianeta fermo, statico, tutti i continenti fissi lì dove stanno... Raccoglievamo dati in tutto il mondo ma nessuno riusciva a cambiare idea fino a che qualcuno, che non era un geologo, ha pensato e ha mostrato che i continenti si muovevano, c’era una deriva. Di nuovo un outsider che cambia le idee. E così, pure, in questo senso non basta raccogliere dati dappertutto bisogna tenerli insieme e rivoluzionare le conoscenze: solo così progredisce il nostro sapere. Per quel piccolissimo tratto di strada che abbiamo fatto insieme, io gliene sarò sempre grato: perché è stata - ed è - un’avventura della conoscenza molto stimolante e lo ripeto quando i nostri nipoti studieranno sui libri di scuola molto probabilmente quella storia sarà riscritta».

Attilio Mastino (Antichista, Prorettore dell’Università di Sassari):
« Io sono felice di essere stamattina qua, di portare il saluto dell’Università di Sassari e - se Sergio Frau mi consente - anche di quegli archeologi che, in Sardegna soprattutto, hanno brontolato per la novità rappresentata da questo libro: un libro coraggioso che dimostra passione, che è anche una sfida per coloro che si sono misurati in passato su questi argomenti. Un libro prezioso però, perché rivaluta anche molte notizie delle fonti letterarie. Io volevo dare semplicemente uno spunto nuovo stamattina, e poi dare una buona notizia. Prima lo spunto.
Se c’è una costante nella raffigurazione della Sardegna nel mondo classico è quella di un’isola inserita in un mito, il mito di Eracle il conquistatore dell’Occidente. La Sardegna è un’isola felice che, per grandezza e per prosperità, eguaglia le isole più celebri del Mediterraneo. In quella che per Erodoto era l’isola più grande del mondo nesos meghiste, le pianure erano bellissime, i terreni erano fertili, mancavano i serpenti e i lupi, non si trovavano in Sardegna erbe velenose tranne un’unica erba quella che produce il riso sardonio. La Sardegna è per gli autori antichi un’isola dell’Estremo Occidente, idealizzata a causa della leggendaria lontananza: oltre il finis terrae, collocata al di fuori della dimensione del tempo storico, ricca di monumenti straordinari - i nuraghi - frutto dell’antica civiltà nuragica, e insieme anche l’Isola dei Beati. La Sardegna è stata in passato eudaimon kai panphoros, così si esprime lo pseudo Aristotele, dunque “prospera e dispensatrice di ogni prodotto” ai tempi di Eracle, ai tempi di Aristeo, ai tempi di Iolao, ai tempi di Norace, ai tempi degli Iliesi. Le leggende greche di fondazione immaginano - e questa è la novità, mi sembra di poter dire, sulla quale anche il collega Raimondo Zucca sta lavorando - per la Sardegna un originario regno affidato a Forco, un regno di Sardegna e di Corsica.
Forco era il figlio di Ponto e di Gea, secondo un’altra versione figlio dell’Oceano - notate il riferimento all’Oceano, riprenderemo il riferimento all’Atlantico - figlio di Oceano e di Teti, egli era sposo di Cheto, era il padre delle Gòrgoni dell’Estremo Occidente: Medusa, Strenno, Euriale. Ed era anche il padre delle Focidi divinità e mostri marini, ma anche padre delle Sirene, il padre di Echidna, il padre delle Esperidi... Tutte leggendarie figlie di Forco il cui carattere “atlantico” appare indubitabile, con riferimento all’Oceano conosciuto dai Greci.
Secondo Servio, che commentava il V libro dell’Eneide e riprendeva Varrone - ma probabilmente (Zucca sta scrivendo un articolo proprio su questo argomento), probabilmente usa delle fonti molto più antiche - «Rex fuit Forcus Corsicae et Sardiniae qui cum ab Atlante rege navali certamine cum magna exercitus parte fuisset victus et obrutus finxerunt soci eius eum in deum marinum esse conversum» -. Quindi: «Re della Corsica e della Sardegna è stato una volta Forco, il quale - dopo essere stato annientato in una battaglia navale e poi mandato in rovina da Atlante con gran parte del suo esercito - viene ricordato dai suoi compagni come trasformato in una divinità marina».
Dunque la dimensione atlantidea della Sardegna, che dobbiamo a una intuizione fortunata di Sergio Frau, trova un preciso riscontro nelle fonti più antiche. In particolare mi sembra che è possibile ricostruire alcuni aspetti del mito collegato alla Sardegna che ci riportano all’Estremo Occidente. Le divinità originarie della Sardegna e della Corsica sono dunque atlantiche, anche se l’Atlantide del V secolo a.C., l’Atlantide di Platone, potrebbe essere qualcosa di diverso rispetto all’Atlantide dei miti più antichi collocata al di là delle Colonne.
L’altro aspetto sul quale mi sembra possiamo convenire - e su questo mi sembra che gli studiosi ormai hanno assunto una posizione unitaria - è quello della collocazione geografica delle Colonne, che dovevano essere in origine più a Oriente dello Stretto di Gibilterra. Come del resto più a Oriente dell’Atlantico era il Giardino delle Esperidi, sul lago Tritone, oggi lo Chott el- Cherid in Tunisia, che più tardi è stato per i miti classici collocato a Lixos, sul fiume Lukos, in Marocco, sull’Atlantico, laddove si svolgono proprio in queste settimane degli scavi dell’Università di Sassari guidati da Raimondo Zucca. Ma l’originaria collocazione del Giardino delle Esperidi non era sull’Atlantico. Dunque - accanto alle novità rappresentate dall’intuizione di Sergio Frau - c’è anche un’esigenza: quella di una storicizzazione, di un inquadramento della collocazione delle Colonne in una fase arcaica della elaborazione del mito. Se i toponimi (e i miti a essi connessi viaggiano nello spazio e nel tempo), ovviamente a me sembra che forse riflettono oggi, ancora oggi, una traccia degli originari orizzonti della marineria greca.
Questi temi hanno aperto una vivace discussione tra gli studiosi e il contributo di Sergio Frau ha trovato di recente un riconoscimento prezioso sulla rivista dell’Unesco Diogène e in una serie di recenti interventi di studiosi a livello internazionale e nazionale: voglio citare soltanto Carandini, Braccesi, Amadasi Guzzo, Canfora, Sergio Ribichini, Raimondo Zucca che concordano almeno sulla originaria collocazione delle Colonne più a Oriente dello Stretto di Gibilterra.
E ora la buona notizia. Io ho ricevuto ieri sera una telefonata per conto del vicedirettore della Sezione Cultura dell’Unesco, Mounir Bouchenaki, da Parigi: era impossibilitato a telefonare lui stesso perché si trovava a Shangai per il Comitato Internazionale sui siti del patrimonio mondiale, ha fatto chiamare da un collega tunisino che lavora all’Unesco, il professor Azedine Beschauch, che ha ricevuto recentemente la laurea ad honorem presso l’Università di Sassari. Sono stato incaricato di riferire che l’Unesco comunica che aderisce alla mostra, che offre il suo patrocinio, offre un appoggio convinto al progetto di ricerca che oggi presentiamo e apre la sede dell’Unesco di Parigi a questa esposizione che potrebbe essere ospitata lì tra ottobre e dicembre prossimi. L’Unesco sosterrà alcune iniziative in Sardegna e, in particolare, il progetto della provincia di Nuoro sul pastoralismo sul quale si chiede il coinvolgimento delle Università di Cagliari e di Sassari».