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O crediamo agli Antichi. O..., di Sergio Frau

venerdì 14 gennaio 2005

(per Emanuela Atzeni e il gruppone di Carloforte. Relazione convegno.
«È un giornalista: faccia il giornalista...».
La frase - proprio così com’è, con piccolissime variazioni sul tema - qualche archeologo sardo l’ha ripetuta cento volte in questi due anni. In pubblico e in privato.

La sfoderavano, stizziti, a tutti quelli che chiedevano loro un parere a proposito di una mia ricerca che - riposizionando le prime Colonne d’Ercole (pre-alessandrine) al Canale di Sicilia prima dello slittamento a Gibilterra avvenuto verosimilmente intorno al 200 a.C. - coagula sulla Sardegna una valanga di fonti antiche orientali che ricordano (con minore o maggiore nitidezza) un’Isola/Continente nel Far West del II millennio a.C. che, improvvisamente, sparì dalla storia e, quasi, dalla geografia a causa di terribili eventi marini. Così, per quest’occasione, avevo deciso di accogliere l’ingiunzione corale di quel manipolo archeo-resistenziale e, quindi, di farlo davvero il giornalista. No! Tranquilli: non mettendomi a fare un bilancio dei rapporti tra quanti finanziamenti siano arrivati ai vari Istituti presenti in Sardegna, né rapportandoli alla produttività e ai risultati scaturiti in questi ultimi decenni...
No! Volevo fare il giornalista - com’è costume della professione - riportando solo parole altrui. L’intervento presupponeva un supporto di videoregistrazione che, poi, purtroppo - a sorpresa - non c’è stato. Volevo far parlare soltanto Testimoni d’Epoca e Sapienti di Oggi. Non mi è stato possibile.
Cercherò, dunque, ora, di rimettere in fila quelle testimonianze (schegge estratte dalla mia ricerca che, certo, a causa di quel pregiudizio iniziale, non verrà mai letta) per poi arrivare - rapido - a qualche considerazione finale sul deleterio ruolo della Spocchia quand’essa - per i casi della vita e i giochi delle cattedre - va a coincidere con Istituti di Ricerca, fino a paralizzarne ogni curiosità, razionalità ed efficienza. Ecco le testimonianze: con queste bisogna confrontarsi. Il resto è nulla...

Dalla Sardegna di Atlante all’Etruria dei Tirreni/Etruschi...
Testimonianze di una Storia criptata dalla Geografia

Sabatino Moscati*
«Cartagine, sembra evidente, volle calare come una Cortina di Ferro a metà del Mediterraneo, per sbarrare ai Greci la via dell’Occidente».
*Storico e archeologo. A proposito di un trattato del 509 a.C. che spartiva il mare. In “Quaderno 238” dell’Accademia dei Lincei, 1978.
Pindaro*
«Lieve non è tragittare nel mare inviolabile delle Colonne d’Eracle, che l’eroe dio piantò testimoni dell’ultimo varco. E domava le fiere enormi del mare, i defluvi esplorava delle lagune egli solo, dove la meta d’illeso ritorno e rivelò la terra».
*Poeta legato a Delfi, V secolo a.C.
Erodoto*
«Attraversate le Colonne d’Ercole, giunsero a Tartesso... I Focei (d’Anatolia. Ndr) avevano creato in Corsica una città chiamata Alalia. A quel tempo Argantonio, re di Tartesso, era già morto».
*Storico/geografo, V secolo a.C.
Aristotele*
«Il mare al di là delle Colonne è poco profondo a causa del fango, ma non è ventoso perché si trova come in un avvallamento».
*Filosofo, IV secolo a.C.
Euctemone
«L’ateniese Euctemone (del V secolo a.C. Ndr) dice pure che (le Colonne. Ndr) non sono rupi o vette che si innalzano da entrambi i lati; fra la terra libica e la sponda d’Europa stanno due isole; dice che queste si chiamano Colonne d’Ercole; riporta che esse sono separate da 30 stadi; che sono dappertutto irte di selve e che sono sempre inospitali per i naviganti. Egli dice infatti che ci sono dei templi ed altari di Ercole: i forestieri arrivano in barca, fanno sacrifici al dio e si allontanano in fretta perché è ritenuto sacrilego fermarsi sulle isole. Riferisce anche che intorno ad esse, e per un largo tratto, il mare ristagna a poca profondità. E che le navi cariche non possono avvicinarsi per il fondale basso e la grassa melma della spiaggia. Ma se per caso qualcuno fosse preso dal desiderio di avvicinarsi al santuario (di Ercole, sull’Isola di Ercole. Ndr), porti la nave alla vicina isola di Luna, tolga il carico, e così con lo scafo leggero supererà il mare».
Testimonianza riportata da Avieno, IV secolo d.C.
Dicearco*
«Le Colonne d’Ercole distano dal Peloponneso 10000 stadi. E ancora maggiore è la distanza fino all’estremità dell’Adriatico».
*Geografo, IV secolo a.C.
Luciano Canfora*
«Quando il mondo si “allarga” è quasi inevitabile che se ne trasferiscano più là gli immaginari confini... Dopo Alessandro Magno, e grazie alla sua marcia verso l’Afghanistan, il mondo era divenuto più grande. A Ovest il contraccolpo di quella spettacolare marcia consistette nello spostare il “confine” ancora più a Ovest. Non a caso è proprio ad Eratostene, cioé a un uomo simbolo della scienza del III secolo a.C., che si deve lo “slittamento” delle Colonne d’Ercole dal Canale di Sicilia a Gibilterra».
*Docente di filologia greca e latina.
Dal “Corriere della Sera” del 7 giugno 2002.
Platone*
«Davanti a quella bocca che voi chiamate Colonne di Eracle c’era un’isola. Chi ci arrivava poteva passare da quest’isola alle altre isole e raggiungere il continente che tutto circonda».
«In quest’isola di Atlante vi era una grande e mirabile potenza regale che possedeva l’intera isola e molte altre isole e parti del continente. Inoltre dominava, al di qua dello Stretto le regioni della Libya (l’Africa del Nord, l’unica conosciuta dai Greci. Ndr.) fino all’Egitto e dell’Europa fino alla Tirrenìa (l’Etruria toscana ai tempi di Platone. Ndr)».
«L’isola forniva ogni specie di metalli, duri e malleabili, che si possono estrarre dalle miniere, ed anche quel metallo di cui noi ormai non sappiamo altro che il nome, ma che si estraeva dalla terra in molte località dell’isola, e che dopo l’oro era il metallo più prezioso che esistesse».
*Filosofo, IV secolo a.C.
Esiodo*
«Quelli molto lontano, in mezzo alle isole sacre, regnavano su tutti gli illustri Tirreni/Costruttori di Torri».
*Poeta/teologo, VII secolo a.C.

«E se riaffiorasse ora? Adesso? E d’improvviso. A sorpresa. Se, da mezzo al mare, riapparisse d’incanto un’isola? E se succedesse proprio al di là delle Colonne d’Eracle, quelle appena tornate al Canale di Sicilia? E se fosse al centro di tutte le rotte più antiche? E se quest’isola ci si ripresentasse ora, ma com’era 3200 anni fa? Viva, ricca, verde e strabiliante? Con migliaia e migliaia e migliaia di gigantesche torri? E con tutte le altre che ora non ci sono più? E anche con tutti quelli che, allora, sapevano costruirle? E con la frenesia di vita che doveva circondarle? Con le necropoli “anatoliche” rosse e gialle del 3000 avanti Cristo? E con quella ziggurat strampalata messa lì da 4300 anni? E con tutti i metalli del mondo? E con un clima che è, quasi sempre, primavera? Con le palme, i cervi, l’oricalco? E fiumi d’argento, e isole di piombo, e monti di ferro, e pietre di fuoco, e sorgenti di acqua calda? E con i vecchi più vecchi del Mediterraneo? Se riapparisse ora, all’improvviso - però ora, adesso, subito - un’Isola, in mezzo al Mare d’Occidente? Con tutti i suoi colossi. Con antichissimi, leggendari primati? E con il Gennargentu messo lì, con quel suo nome che sbrilluccica, a far da segnale, a ricordare oro bianco e porte magiche. Messo lì, come a indicare “la Rotta”.
Se riaffiorasse ora?»
Da “le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta” (p. 405).
Strabone*
«Si dice infatti che Iolao, conducendo qui (in Sardegna. Ndr) alcuni dei figli di Eracle, venne qui e che essi abitarono insieme ai Barbari che possedevano l’isola e che questi erano Tirreni (da“Tyrsenoi”, ovvero “Costruttori di Torri”. Ndr); successivamente i Fenici di Cartagine imposero il loro dominio...».
*Storico/geografo, I sec a.C./I d.C.
La Tragedia
Platone nel Crizia: «Ora dopo i cataclismi che l’hanno sommersa altro non ne resta che insormontabili bassifondi (altri traducono fango impraticabile), ostacolo ai naviganti che di qui fanno vela verso il mare aperto...». Non un gorgo e via, dunque. Del resto Platone spiega che Zeus operò così spietatamente per rendere migliori i suoi abitanti (non per eliminarli) e nel Timeo racconta di catastrofi terribili anche ad Atene subito dopo la guerra d’Egitto: Atene c’è, c’è ancora».
Lo Schiaffo di Poseidone
Omero, nel libro VIII, a proposito di un’isola - fotocopia di quella platonica - Scherìa, anch’essa vagheggiata nel Far West dei Greci: «Si adirerà Poseidone con noi... » e « coprirà la nostra città di un gran monte». Cinque libri dopo, infatti, nel XIII, eccolo Poseidone (Dio Mare per i Greci. Ndr) che trasforma la loro nave in pietra, «la radicò nel profondo, a mano aperta colpendola...». Anche Omero ci lascia nel dubbio se basteranno i sacrifici di tori a placare il Poseidone che con uno Schiaffo di Mare vuol sommergere di fango la loro città...
Ramses III*
«Gli stranieri venuti dal Nord vedono le loro terre scuotersi: il loro paese è distrutto, le loro anime in angoscia... I Popoli del Settentrione complottavano nelle loro isole ma, nello stesso tempo, la tempesta inghiottiva il loro paese: la loro capitale è distrutta... Non (l’Oceano degli Egizi. Ndr) è uscito dal suo letto e ha proiettato un’onda immensa che ha inghiottito città e villaggi...Il loro paese non esiste più, la loro capitale è annientata»
*Faraone egizio, 1195/1163 a.C. Sulle mura di Medinet Habu.
Giovanni Lilliu*
«Del nuraghe attraeva me e i miei compagni di svago una cavità in vista, che chiamavamo il “pozzo”. Era l’unico punto accessibile della montagnola di terra e sassi ritenuta da noi e da tutto il paese una collina naturale, come le altre molli che contornavano la conca verde. Del resto come avremmo potuto immaginare il tesoro nascosto contenuto nel tumolo se l’aratro vi saliva sino al punto più elevato, toccando e graffiando appena qualche pietra d’ingombro».
*Accademico dei Lincei e archeologo.
Ezechiele
«Chi era Tzur (Tiro, Tharros. Ndr) ora distrutta in mezzo al mare? Quando dai mari uscivano le tue mercanzie, saziavi tanti popoli; con l’abbondanza delle tue ricchezze e del tuo commercio facevi ricchi i Re della Terra. Ora giaci travolta dai flutti nella profondità delle acque: il tuo carico e il tuo equipaggio sono affondati con te. Tutti gli abitanti delle isole sono rimasti spaventati per te e i loro re, colpiti dal terrore, hanno il viso sconvolto. I mercanti dei popoli si beffano di te, tu sei divenuta oggetto di terrore, finita per sempre».
Raimondo Zucca*
«Sulla cima di Murru Mannu a Tharros gli scavi hanno rilevato la lunga durata dell’abitato tra il XV e il XIII secolo a.C. Il centro nuragico venne abbandonato per cause sconosciute e fu rioccupato dai Fenici soltanto nell’VIII secolo a.C. Quando arrivarono i Fenici a Tharros c’era morte, distruzione...».
*Archeologo, docente e responsabile dell’Antiquarium arborense.
Tiro/Tzur/Tharros (e i Fenici d’occidente)

Euripide*
«Ho lasciato l’onda Tiria (di Tiro, di Tzur, di Tharros. Ndr), sono venuta (a Delo, nell’Egeo. Ndr) come primizia offerta ad Apollo dall’isola dei Fenici per servire le case abitate da Febo/Apollo. Traversato ho - a forza di remi - il mare Ionio oltre la stesa dell’acque che volgono intorno alla Sicilia e non danno frutto, mentre Zefiro cavalcava nel cielo con le sue ventate e nell’aria tutto era suono, bello e che nulla eguagliava».
*Autore tragico, V secolo a.C., dal coro de “Le Fenicie”.
Quinto Curzio*
«Le colonie di Tiro (Tzur in lingua fenicia, Tharros oggi. Ndr) si diffusero per il mondo intero: Cartagine in Africa, Tebe in Beozia, Cadice sull’Oceano. Ritengo che poiché navigavano per mare aperto e poiché approdavano assai spesso su terre ignote ad altri popoli, i Tirii abbiano studiato con accortezza quali regioni potevano accogliere i loro figli così numerosi, o ancora, secondo un’altra teoria, il numero dei cataclismi avrebbe colpito e fiaccato gli indigeni, costringendoli pertanto a cercare, opportunamente equipaggiati, dimore oltre la madrepatria».
*Storico, I secolo d.C.
Massimo Pallottino*
«L’immagine dei fierissimi e semiselvaggi abitatori di caverne, che i Romani snidavano con i cani feroci, non si può confondere con quella dei ricchi e pacifici edificatori delle tholoi di Isili o di Ballao o dei sapienti artefici dei bronzi di Uta. In questo senso la saga greca dell’Età dell’Oro di Iolao, di Aristeo e di Dedalo, seguita dalla decadenza e dalla fuga sulle montagne, potrebbe aderire alla sostanza storica meglio di alcune generalizzazioni ricostruttive dei moderni».
*Etruscologo. In “La Sardegna nuragica”, 1950, ripubblicato da Ilisso, p. 136.
Michel Gras*
«La tradizione classica vuole nella Sardegna una terra inospitale “che volta le spalle” all’Italia. Questa tradizione ne ha soppiantata un’altra più antica che faceva dell’isola un fertile Eldorado».
*Archeologo. In “La Sardegna nel mondo mediterraneo”, 1978.
Andrea Carandini*
«A Occidente - cioè in queste isole occidentali - questo Paradiso Perduto viveva, sopravviveva e lì era anche il mondo dei morti. Ora, in epoche molto più tarde, questo Paradiso Perduto era stato visto intorno alle Colonne d’Ercole o oltre le Colonne d’Ercole immaginate a Gibilterra. Il grande merito di Sergio Frau è di aver scoperto e riportato ad attualità e ha dato coerenza a un orizzonte completamente diverso, cioè questo mondo perduto, che i Greci in qualche modo guardavano con enorme nostalgia, non era oltre il Mediterraneo, ma era costituito dal Mediterraneo occidentale stesso. Prima il limite era l’Adriatico a un certo momento il limite più grande è stato appunto il Canale di Sicilia e questa mi pare un’acquisizione importante e fondamentale».
*Archeologo. Intervista rilasciata a “La 7”, trasmessa il 22 giugno 2003 e pubblicata sul numero 204/2003 di “Diogène” (Revue trimestrielle publiée sous les auspices du Conseil international de la philosophie et des sciences humaines et avec l’aide de l’UNESCO) con il titolo “Paradis perdu et Colonnes d’Hercule”.
Plutarco*
«Anche per questa vittoria (su Veio, ndr) Romolo ebbe gli onori del trionfo, il 15 di ottobre, e vi trascinò, oltre a molti prigionieri il già vecchio duce dei Veienti che era apparso poco prudente e meno pratico di quello che l’esperienza e l’età potevano comportare . Per questo ancora oggi, quando si sacrifica agli Dèi dopo aver conseguito una vittoria, si trascina dal Foro al Campidoglio un vecchio con una toga pretesta e un pendaglio da bimbo al collo, mentre il banditore grida che mette all’asta dei Sardi; perché si vuole appunto che gli Etruschi fossero coloni dei Sardi; e Veio è, appunto, città dell’Etruria».
*Storico, I/II d.C, in “Vita di Romolo”.

Riassumendo, ora (e includendo giudizi in pubblico e recensioni uscite in Italia e all’estero): sul primo posizionamento pre-alessandrino delle Colonne d’Ercole al Canale di Sicilia mi hanno dato ragione antichisti come Andrea Carandini, Jean Bingen, Raimondo Zucca, Alberto Moravetti, Maria Giulia Amadasi, Sergio Ribichini, Lorenzo Braccesi, Claudio Giardino, Ivan Garofalo; accademici dei Lincei come Vittorio Castellani, Giovanni Lilliu, Sergio F. Donadoni, Louis Godart; geologi del Cnr come Mario Tozzi; storici della Scienza come Federico Di Trocchio; pure Dario Fo ha salutato l’antica sorpresa con entusiasmo.
E Luciano Canfora - il migliore per la conoscenza della cultura ellenistica che da Alessandria s’irradiò ovunque - mi dà ragione dalle pagine del “Corriere della Sera”.
Tutti pazzi loro? E pazzi anche Platone e Omero con la loro isola/continente al di là delle prime Colonne d’Ercole?
Possibile? Possibile che sbaglino tutti loro - autori antichi, antichisti, geologi, egittologi di fama mondiale, storici della scienza, superesperti dell’Istituto Geografico Militare - e che abbia ragione solo quel manipolo resistenziale di Sardegna? Possibilissimo, certo...
Possibile pure il contrario, però. Che ci sia qualche motivo in più, estraneo a scienze e conoscenza: fastidio dovuto a invasione di campo? O, peggio, lesa maestà “zonale”. O - peggio ancora - il fatto che in tutte le 672 pagine della mia ricerca non mi sia potuto avvalere di una sola riga di certi loro scritti così stentorei e senza dubbi? La mia faticaccia su Ercole è stata presentata come una lettera aperta ai Sapienti che stimo. Con tanto di nomi e cognomi. Loro, i miei detrattori, lì, non c’erano. Può trattarsi di rappresaglia, ora, questa? Fatti loro... E comunque - certo - non sarà con ricostruzioni misere misere, recitate come annoiate litanie con saccente, stantia, boria (e spero affidate - così come sono state ripetute anche qui - a queste pagine in modo che ne resti agli atti futura memoria) che si farà chiarezza sui mille salti logici di una versione che risulta ormai svaporata, incredibile, quasi grottesca. Dunque davvero - come ci è stato sentenziato anche oggi - sparuti drappelli di Fenici avrebbero spaventato a morte i Sardi dalle coste blindate di nuraghes tanto da spingerli all’interno e regalare argento, messi e meraviglie ai Fenici? Ma per favore... Si dia un’occhiata in giro, almeno: Nora, Tharros, Antigori del primissimo ferro, Sulkis, Bithia e chissà quante altre che ci è stato sempre detto essere postazioni fenicie furono prima - molto, molto prima - basi nuragiche.
Non ammetterlo significa truccare le carte... Non ammetterlo significa non aver mai guardato e non voler guardare quanto fango imprigiona i nuraghes dove il mare ha potuto colpire.
Se questo annoiatissimo modo di ricostruire la storia fosse un passatempo privato di azzimati signori in età, nessuno - e io meno che mai - si azzarderebbe di certo a contestare queste convinzioni... Purtroppo, invece, sono certezze così - per di più difese così con prosopopee pressoché feudali - che sclerotizzano la ricerca; nascondono interi capitoli di un’Isola e della sua storia; impediscono al Mediterraneo di capirsi del tutto e di ricominciare a interrogarsi magari dando posti di lavoro a tutti quei giovani archeologhi che - entusiasti - vorrebbero finalmente mettere in pratica tutto quello che hanno imparato. Per concludere - giocando di rimando, come a ping pong - cito l’invito fattomi: «è un giornalista: faccia il giornalista!». D’accordo... Ma a un patto: che esista una sorta di “par condicio”, anche qui.. O almeno libertà di parola, di espressione, di ragionamento...
Quindi a quel tipo di obiezioni/blindature, che vorrebbero fare della ricerca un monopolio quasi sacerdotale, va risposto caso per caso. Tipo: «È un professore? Faccia il professore, allora, se è davvero un professore...». Se lo fa: tanto di cappello. Ma lo si faccia sul serio: come si deve, come si fa nel resto del mondo... Se, invece, non ci si riesce, almeno si sappia che ogni professionalità si dimostra giorno per giorno. E con fatti e risultati: ovunque, ormai, non basta più proteggersi dietro spocchie d’altri tempi.