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Lo Storico delle Religioni / Sergio Ribichini

venerdì 21 gennaio 2005

Devo tornarci, in quei luoghi già visti.
Voglio rivedere quel giardino ai confini del mondo, col drago, le Esperidi e le mele dorate.

Debbo visitare di nuovo quelle spiagge di Cadice, che già m’hanno preso per via di quella storia trovata in Strabone, lì dove scrive delle colonne d’Eracle sulla costa d’Iberia; storia di marinai partiti da Tiro a fondare colonie e per due volte incapaci di riconoscer sul posto gl’indizi ricevuti in patria dall’oracolo del loro dio; storia che Posidonio, citato in Strabone, reputava soltanto una “menzogna fenicia”.
Vorrei anche ritrovare quegli altari dei Fileni sul fondo della Grande Sirte, col porticciolo e il boschetto sacro, più tombe che altari, monumenti ai sepolti vivi di Cartagine, celebri, specie quando di essi s’erano ormai perse le tracce nella sabbia africana. E, pure, su quegli scogli a fior d’acqua dovrei tornare, quelli di cui parla Virgilio, anch’essi chiamati altari e parimenti difficili da riconoscere: altari propizi o di Nettuno, come li dicevano i latini del I secolo a.C., isolotti sui quali venivano i sacerdoti da Cartagine a officiar cerimonie e dove i Romani vennero una volta a firmare l’accordo sui confini; altari d’un tempo che fu, insomma, anche questi, prima d’esser soltanto un pericolo, resti di un’isola sommersa, scogli fatali da mostrare a chi navigasse in quei mari.
E voglio inoltre riandare su quel sentiero di Melqart in Occidente, che tanto somiglia al tragitto di Annibale sbarcato in Spagna dall’Africa e poi partito da lì, da quel santuario/confine di Cadice, per conquistare terre e popoli in Gallia, tra le Alpi, in Italia. L’ho fatto più volte quel percorso divino, ma sempre verso l’ovest - la via del sole - dalla Tiro fenicia verso il tramonto, poco badando che proprio là, presso quelle colonne, comincia nelle fonti la colonizzazione fenicia.
Voglio rifarlo, così, quel cammino, verso oriente, come propone Sergio Frau in questo bel libro.
Voglio, vorrei, debbo farlo.
è questo studio denso e interessante, su colonne, frontiere, vecchie rotte e conoscenze geografiche, a stimolare la mia voglia di nuove osservazioni. Per quanto, certo, questo studio di Frau, proprio non dovrei metterlo nello scaffale vicino allo scrittoio, sul ripiano dal quale sempre attingo per il lavoro; bensì sul mobile buono, in salotto, tra il libro di Ginette e di Lidiano sulla Libia antica e quello di Claude su mostri, demoni e altre meraviglie del Medio Evo.
Diavolo d’un Frau! T’arriva al ristorante, con quel fagottone di bozze, e ti chiede il favore d’una lettura, la cortesia d’un parere. Come fai a dire no, quando leggi da sempre i suoi articoli? E poi, perché dire no, quando appena lui comincia a parlare, a mostrarti una carta, a scorrer due righe, tu t’interessi, t’incuriosisci, ti lasci coinvolgere da quelle storie, ci sguazzi inebriato nelle mappe e nei testi che lui scandaglia e racconta?
Le ho lette in pochi giorni, quelle bozze, col caminetto e mia moglie in solitaria e calorosa compagnia. E, mentre leggevo, ho preso appunti. Per dire no, che qui non sono d’accordo e neppure qui e nemmeno là; e ancora: boh, forse, chissà. Ma ho pure cominciato, lentamente, quasi con ritegno, a dirmi: sì, caspita, è vero, com’è che non ci avevo pensato, ma guarda, e io che non c’ero arrivato, ha ragione, anzi, però...
”Se le teorie non coincidono con i fatti, tanto peggio per i fatti”. L’ho trovata tempo fa, da qualche parte, questa effigie d’un certo modo di fare la storia. Ecco: questo, del libro di Frau, proprio non si può dire. Perché ci tiene, lui, a separare i fatti dalle teorie, i documenti “agli atti” dalle congetture degli altri e perfino da ogni propria, pur plausibile, ipotesi. E si capisce bene, nella sua rilettura di testi e documenti, dove finisce la ricostruzione storica e dove comincia la proposta. Così, senza volerlo, sempre di più ho letto con la matita, prendendo nota.
E poi ne ho parlato, con Frau, di queste note. Gli ho detto, ad esempio, che a me quell’autore, quell’illustre studioso non mi convince per niente, e che il tizio, invece, non può essere ignorato, che quel dio non si confonde mai con quell’altro, che sui confini si deve leggere il tale studio, che sul valore degli antichi miti c’è quel libro e sulla questione del metodo c’è quell’altro... Commenti, correzioni, indicazioni, quasi avessi davanti a me un collega infervorato e un’opera da biblioteca. Ma ho virato presto, ho smesso quasi subito. Perché no, proprio questo non è il libro di Frau, non è questo che vuole l’autore. Un’inchiesta, me la definisce lui, un’indagine che presenta fatti, li esamina, li sottopone a processo. E’ un viaggio, dico io di rimbalzo, un itinerario nel tempo e nelle trame, con almeno tre livelli di lettura, uno dentro l’altro: il suo, di cronista e, insieme, di storico; quello degli antichi, poi, che leggevano e interpretavano gli scritti dei contemporanei o dei predecessori; quello dei moderni, infine, che tanto hanno detto, a torto o a ragione, chissà (ci sono anch’io...), sulle colonne d’Eracle e quant’altro.
Pure gli ho chiesto, quel giorno, chi fosse il suo pubblico, per quali lettori lui quel lavoro l’avesse voluto. Per te, mi ha risposto con tono quasi di sfida. Per te, lettore abituale dei suoi pezzi sul giornale, per te, appassionato di queste storie, per te, che puoi, che vuoi, che sai accogliere la provocazione di questo libro. Così, poi, io l’ho accettata davvero la sua sfida, e i miei appunti li ho anche ordinati e trascritti, recuperando dal libro qualche suggestione, scopiazzandone, qua e là, pure lo stile.
Mi servirò, forse, di questi appunti, per un qualche viaggio nelle storie del Mediterraneo antico.
Tornerò, allora, con Frau, in quei luoghi già da me visitati e proverò a riconsiderarli, alla luce della sua “riformulazione della prospettiva di studio”: anamorfòsi, la chiama lui nei primi capitoli, termine che a me pare bruttino e che, però, è proprio quello adatto, c’azzecca bene con la storia delle colonne piazzate e spostate ai margini del mondo conosciuto e organizzato.
Li userò probabilmente, questi appunti, per visitare di nuovo il regno di Crono in occidente; quel circuito fortificato nelle mani d’un vecchio dio pensionato, stando a Diodoro, sul quale ho già da parte una scheda, così da ricordarmi quanto marginale, felice, inattuale fosse quel regno per i Greci, che decisi lo collocavano tra i barbari d’Africa e di Sicilia.
O ancora mi servirò di queste note per girovagare su altri spazi irreali, conservando nel bagaglio a mano i vari Ballabriga, Jourdain-Annequin, Graf e Piccaluga, e anche gli scritti di Marcel, di Giulia e di Maria sui diversi paesaggi del mito. Voglio capirci di più, su quei nomi di luogo e d’eroi che fanno la geografia nell’immaginario greco. Voglio rileggerli bene quei racconti su viaggiatori semidèi che scoprono lo spazio ignoto, colonizzano regioni, tracciano rotte e così fondano il diritto a penetrare in quegli stessi universi, portando per ogni dove usi e costumanze civili. Tutte storie alle quali nell’antica Grecia si crede come se fossero vere e che pure verità non sono, perché sono mito e avvengono in un tempo diverso da quello reale; storie che si raccontano perché tutto l’esistente trovi fondamento in quel periodo ormai trascorso, quando tutto ancora è possibile, quando tutto, “allora”, ha preso l’ordine e l’aspetto che per noi testimoniano i vari Platone, Aristotele, Timeo, Strabone e lo Scilace fasullo. Storie sacre, insomma, che documentano ai miei occhi l’immaginario e le conoscenze del tempo in cui sono raccontate o messe in scena, più che le circostanze nelle quali sono collocati gli avvenimenti narrati.
Probabilmente userò questo libro, e questi appunti, anche per rivedere le colonne di Eracle: no, non quelle all’estremo occidente, sulle quali tanto ha già scritto Frau e convincentemente, bensì le altre, orientali: quelle ambrosiai petrai alle quali lui appena dà cenno (riproducendone però la bella immagine sulle monete), da porre e studiare accanto a quelle altre, di colonne, tutte oro e smeraldo, che al tempo di Erodoto erano lì, all’ingresso del tempio dell’Eracle tirio...

*Storico delle religioni e ricercatore all’Istituto di studi fenicio-punici del CNR.
Brano dalla postfazione alla prima edizione de “le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta”, aprile 2002.