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Sapienti in ordine sparso. E voglia di saperne di più..., di Claudio Giardino

venerdì 21 gennaio 2005

Grazie alla bella iniziativa del nostro comune amico, “sub-comandante” Sergio Frau, ho avuto l’opportunità di tornare in Sardegna con la “Zingarata”. Erano molti, troppi anni che non visitavo in modo così completo l’isola, apparentemente così culturalmente unitaria, e pure così sfaccettata e con profonde diversità fra le varie aree.

Tornavo in Sardegna e la vedevo con altri occhi, post-colonnari, in fondo sorpreso delle ancora immense possibilità di ricerca che l’isola offre a chi voglia capire meglio il suo passato e con esso la storia del Mediterraneo più antico. La sua civiltà, a ben guardare, risulta isolata dal contesto del Mediterraneo Occidentale dell’età del bronzo, un fenomeno unico, diverso da tutto ciò che la circondava.
Da “metallaro” qual sono, lo stimolo prioritario è quello dei giacimenti metalliferi: le materie prime strategiche la cui estrazione ed il cui commercio debbono essere state alla base del decollo e della fioritura della civiltà dei nuraghi.
Ancora oggi, del resto, lo studio delle materie prime costituisce una fonte decisamente privilegiata per comprendere le ragioni vere delle dinamiche storiche, come guerre, alleanze, unioni, sorgere e decadere di nazioni ed imperi. Nei tempi più antichi - quelli di cui la Sardegna era protagonista - la Storia era mossa dal possesso del rame e dello stagno, ieri da quello del ferro e del carbone, oggi dal petrolio.
Molti dei nuraghi sono stati eretti anche per difendere gelosamente l’accesso alle ricchezze del sottosuolo ed a quel know-how appreso e perfezionato nei secoli che rendeva i popoli di Ichnussa così diversi e progrediti - almeno tecnologicamente - rispetto ai vicini italiani, spagnoli e balearici.
Nonostante l’evidente importanza della metallurgia nelle dinamiche di sviluppo dell’isola, gli studi archeologici hanno solo in parte affrontato sino ad ora questa importante problematica, forse anche per le difficoltà concrete di organizzare e coordinare in progetti ad ampio respiro e realmente multidisciplinari conoscenze tanto diverse, coniugando il mondo scientifico-tecnologico con quello storico-umanistico. Ma purtroppo la realtà è complessa e multiforme, e mal si presta ad essere inquadrata nelle rigide classificazioni del sapere accademico tradizionale.
Pochissimi sono a tutt’oggi in Sardegna gli studi concreti sulle antiche miniere e sui centri nei quali il minerale si trasformava in metallo, dove cioè avveniva il miracolo di trasformare col potere del fuoco e della conoscenza delle pietre colorate in ricchezza, potere e prestigio. Forse uno di questi luoghi è su un colle vicino a Quartu e ci è stato mostrato durante la “zingarata”. Non è stato ancora scavato, è accanto ai resti di un nuraghe, anch’esso inesplorato, ed è ricco di scorie apparentemente di estrazione primaria e di resti bruciati di fornace. Sarà possibile scavarlo scientificamente prima che venga cancellato dal naturale degrado ed ancor più dall’ottusità di chi fruga fra le rovine alla ricerca di fantomatici, inesistenti tesori? Sarebbe assai importante poter datare quel forno, comprenderne il rapporto con il nuraghe, capire cosa esattamente vi si faceva, come e perché.
Nel nostro viaggio abbiamo toccato l’Iglesiente, la regione da cui da millenni si estrae soprattutto il piombo e l’argento, ma che non manca di rame e di stagno. Il suo sottosuolo è stato scavato come un formicaio e pozzi e gallerie moderne incrociano e tagliano scavi medievali, romani, punici e nuragici.
Dai libri di mineralogia ottocenteschi e da alcuni vecchi rinvenimenti sappiamo che spesso, fra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, i minatori si imbattevano nei resti del passato, anche remoto. Perché non ricercare sistematicamente negli archivi degli enti minerari le memorie di questi rinvenimenti casuali, come descrizioni e piante, per poi studiarli con l’aiuto delle tecnologie attuali? La riscoperta delle antiche miniere, opportunamente valorizzate, contribuirebbe non poco, tra l’altro, a sviluppare economicamente il territorio di molti comuni.
La Sardegna pone tanti stimoli a chi si occupa di metalli... Perché non ricercare qui evidenze di una lega, il mitico oricalco, di cui gli antichi greci parlano come di un metallo prezioso e assai raro? L’oricalco è l’odierno ottone, una lega di rame e zinco, che sino alle soglie dell’età romana era considerato di notevole valore. Nell’isola sono assai diffusi i giacimenti di solfuri misti, in cui minerali di rame e di zinco spesso coesistono: vi sono le premesse geo-mineralogiche perché l’oricalco possa essere stato qui prodotto già nell’età del bronzo. L’ottone, il bronzo e il rame antichi sono indistinguibili ad occhio nudo, poiché tutti e tre si ricoprono, con l’interramento, di una patina simile generalmente verde che ne nasconde il colore originario. Nei musei potrebbero quindi celarsi oggetti di oricalco (ritenuti erroneamente di bronzo) che solo l’indagine archeometallurgica potrebbe rivelare, usando moderne tecniche non distruttive come la fluorescenza a raggi x che non danneggia affatto i preziosi reperti. Una simile scoperta dimostrerebbe ancora di più quanto la metallurgia sarda fosse avanzata, ben oltre di quanto attualmente si suppone... Del resto non bisogna dimenticare che il più antico uso del ferro nel Mediterraneo Occidentale si ha proprio in Sardegna dove risale all’età del bronzo.
Collegata strettamente allo sfruttamento dei metalli è verosimilmente anche la navigazione, che permetteva anche di commercializzare le risorse all’esterno dell’isola, e che ci è attestata dalle tante “barchette nuragiche”...
Non si devono poi trascurare gli stretti rapporti che legano la Sardegna all’Etruria, rapporti che sono stati spesso trascurati o mal interpretati. La Sardegna, apripista nel Mediterraneo occidentale per l’impiego del ferro, ha certamente avuto un ruolo cruciale nella diffusione di questa rivoluzionaria tecnologia, proprio e soprattutto verso l’Etruria. Va ricordato come più tardi, in piena età etrusca, Populonia venisse considerata universalmente la Pittsburg dell’antichità, proprio per le sue industrie siderurgiche. Ma era debitrice, con ogni verosimiglianza, per le conoscenze di base ai sapienti metallurghi sardi della prima età del ferro, di cui ci restano probabilmente le tombe disseminate fra le Colline Metallifere ed il Tevere. Non sarebbe male, per comprendere cosa è realmente avvenuto in quel complesso periodo, e comprendere meglio la misteriosa storia etrusca riscavare anche nel passato della Toscana e dell’alto Lazio. Questi sono solo alcuni dei molti spunti prodotti dalla “Zingarata” ma è chiaro che c’è tanto, tantissimo da fare. L’isola dei Nuraghi è infatti uno scrigno di conoscenze ancora appena socchiuso: la collaborazione e la volontà potrebbero aprirlo e rivelarci scoperte inaspettate.