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L’Etnologa/ Dolores Turchi

giovedì 30 dicembre 2004

Pubblicato su "Sardegna Mediterranea" n. 13, aprile 2003, con il titolo "Atlantide in Sardegna?".

Ci viene difficile mutare le nostre opinioni quando ci troviamo davanti a nuove prospettive storiche o geografiche che sconvolgono certezze ormai acquisite, come ci viene difficile liberarci da certi pregiudizi e guardare con animo sgombro a realtà diverse da quelle che abbiamo finora conosciuto.

I Sardi, si è spesso sentito dire, non erano navigatori. Eppure molti studiosi sono oggi concordi nel considerarli tra i componenti della lega dei popoli del mare, identificandoli con gli Shardana, di probabile origine lidia, da tempo stanziati in Sardegna.

Grandi navigatori dunque. A questo punto sorge spontanea una domanda: perché smisero di navigare? Perché abbandonarono le coste ritirandosi all’interno o dirigendosi verso altri lidi lontani dall’isola? E inoltre: perché tra le raffigurazioni egizie di Medinet Habu vediamo gli Shardana che lottano contro gli uomini del faraone, ma che recano con sé pesanti carri dove si trovano anche bambini e donne? Non si va a fare la guerra con la famiglia appresso. Sembrerebbe che quegli Shardana vogliano conquistarsi uno spazio su cui sostare, in una terra che certamente conoscevano bene, da quando molti loro progenitori facevano la guardia scelta al faraone Ramesse II.

E’ logico chiedersi perché, in tempi successivi, durante il regno di Ramesse III, si avventurano in mare con la famiglia e con questa affrontano i rischi di una guerra. La risposta più ovvia è che questi uomini stanno fuggendo da una sciagura immane che ha colpito la loro terra e cerchino disperatamente di occuparne un’altra da cui però vengono respinti. E invero è quel che si legge nei geroglifici di Medinet Habu: "Gli stranieri venuti dal Nord videro le loro contrade devastate... la loro terra è distrutta, le loro anime sono in angoscia... I popoli del Settentrione complottavano nelle loro isole ma, proprio allora, la tempesta inghiottì il loro paese... la loro capitale è devastata, annientata...".

Anche se questa storia è vista dalla parte dei vincitori, la terra degli Shardana dovette essere davvero distrutta da terremoti e maremoti di grande portata, che certamente non interessano soltanto la Sardegna, dando per scontato che si tratti degli Shardana provenienti da quest’isola. Questo sembra di arguire osservando il loro abbigliamento: un elmo con corna, uno scudo rotondo e un tipo di spada assai simile a quello che vediamo raffigurato nei bronzetti sardi.

Un’altra considerazione riguarda la stabilità della Sardegna. Generalmente siamo abituati a considerarla una terra assestata, nella quale non si possono verificare terremoti.

Eppure, se andiamo a indagare nelle cronache del passato, si riscontra che varie scosse telluriche si sono succedute di quando in quando fino a tempi assai recenti. Terremoti e maremoti, intorno al XII secolo a.C., quasi certamente hanno interessato alcune parti dell’isola e altri paesi del Mediterraneo. E’ a questi sconvolgimenti tellurici che si riferisce Platone quando parla della mitica Atlantide? E se la nostra isola fosse davvero quell’Atlantide tanto cercata e mai trovata? Su Atlantide si sono scritti migliaia di libri e quest’isola è stata cercata un po’ dovunque, nell’Atlantico e nel Mediterraneo. Alcuni credono che l’isola di cui parla Platone fosse Santorini, ovvero l’isola di Thera e che la civiltà minoica sia stata spazzata via in seguito a un simile cataclisma. Altri hanno pensato che Atlantide fosse Malta e c’è anche chi ha parlato della Sardegna. Platone scrive nel Crizia: "Al di là di quella bocca che viene chiamata, come voi dite, colonne di Eracle, c’era un’isola... e da quest’isola si passava ad altre isole e al continente opposto che circonda quel vero mare".

Se si tiene per fermo che le Colonne d’Ercole di cui parla Platone fossero nel canale di Sicilia, tra Lilibeo e Capo Bon, come vuole dimostrare Sergio Frau nel suo libro (le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta, Nur Neon, Roma 2002) avvalendosi delle descrizioni che di quello stretto fanno i Greci più antichi, ne scaturisce che l’isola che s’incontra al di là dello stretto è la Sardegna. Gli antichi scrittori infatti parlano di un mare orrendo, infido, dai bassi fondali sabbiosi, cose che non si possono dire per definire lo stretto di Gibilterra, dove comincia il vero oceano, ma che si attagliano appieno al Canale di Sicilia dove ancor oggi è difficile passare se non si hanno carte nautiche che segnalano i punti più pericolosi.

Anche Aristotele, nei "Meteorologica", scrive che "il mare al di là delle colonne d’Ercole è poco profondo a causa del fango, ma non è ventoso, perché si trova come in un avvallamento". Si può dire questo dello Stretto di Gibilterra?

La tesi di Frau diventa in questo caso molto verosimile e non si ha difficoltà a credere che davvero, nel periodo alessandrino, si siano "rettificate" le carte assai nebulose del mondo allora conosciuto, operazione quasi necessaria dopo le scoperte fatte da Alessandro Magno a Oriente. Sembra più che normale, per una questione di proporzioni, che essendosi allargato il mondo a Oriente si ampliassero, per dare centralità alla Grecia, anche i confini delle terre d’Occidente.

Sergio Frau ha avuto un’ottima intuizione, frutto di accurate ricerche e assidua frequentazione di testi classici. Dalle contraddizioni che emergono tra gli scritti classici più recenti e quelli più antichi è scaturita l’idea che questi ultimi parlino delle colonne d’Ercole intendendo un luogo diverso da quello che noi conosciamo e pertanto le loro affermazioni non potevano corrispondere. Frau lo dimostra attraverso una immaginaria inchiesta, dove chiama a raccolta autori classici e moderni. Un modo intelligente per mettere a confronto tanti scritti e poter dimostrare che Eratostene di Cirene (284 circa a.C.), il grande geografo dell’antichità, direttore della biblioteca di Alessandria, avesse potuto fare questo spostamento per aggiornare la geografia del tempo.

Se dunque le colonne d’Ercole un tempo erano il limite tra il Mediterraneo d’Oriente, generalmente colonizzato dai Greci, e quello d’Occidente, quasi tutto controllato dai Fenici, è normale che la grande isola che s’incontra al di là di queste bocche fosse la Sardegna, ritenuta a quei tempi l’isola più grande del Mediterraneo per lo sviluppo delle sue coste frastagliate.

Platone scrive che Atlantide era molto grande, quanto la Libia e l’Asia messe insieme. E’ da notare però che ai suoi tempi non si avevano nozioni molto chiare circa l’estensione delle terre, giacché il Mediterraneo Occidentale era poco trafficato dai Greci, specialmente dopo la battaglia di Alalia (540 a.C.), che sancisce ancora di più il dominio cartaginese sul mare sardo scoraggiando definitivamente i Greci dall’intraprendere qualsiasi avventura. D’altronde lo stesso Erodoto affermava di non sapere come l’Europa finisse a Occidente. Eppure il Mediterraneo Occidentale parecchi secoli prima, intorno al XIV-XIII secolo, era ben conosciuto dai Greci Micenei che vi scorrazzavano in lungo e in largo, andando soprattutto alla ricerca di metalli. Probabilmente la separazione tra i due mari avvenne parecchi secoli dopo, intorno all’VIII-VII secolo a.C., quando fu ripresa la navigazione da parte dei Fenici. Se la Sardegna era ben nota fin dall’antichità per la ricchezza dei suoi metalli, soprattutto per l’argento, tant’è ch’era chiamata Arghyrophleps nesos, ossia isola dalle vene d’argento, non si comprende perché i Fenici dovessero giungere fino alla Spagna e addirittura attraversare lo stretto di Gibilterra, per portarsi lungo le coste dell’Oceano Atlantico, dove si è supposta l’esistenza di Tartesso, affrontando un pericoloso viaggio di oltre venti giorni, quando avevano la Sardegna ben più vicina, addirittura di passaggio, per di più ricchissima di metalli, nella quale necessariamente dovevano sostare almeno per rifornirsi d’acqua e di viveri. A questo punto è lecito ipotizzare, come Frau ipotizza, che la mitica Tartesso non si trovasse nella Spagna, ma in Sardegna.

Leggendo con attenzione il Crizia e considerando la civiltà evoluta che c’era nella sua Atlantide (piena di costruzioni e di torri) ci rendiamo conto che l’isola delle torri doveva essere proprio la Sardegna con i suo 8000 nuraghi.

Scrive testualmente Platone, riferendo il racconto che il sacerdote di Sais fece a Solone: "In quest’isola vi era una grande e mirabile potenza regale che possedeva l’intera isola e molte altre isole e parti del continente... e tutta questa potenza, unitasi insieme, tentò una volta, con una sola mossa, di sottomettere la vostra regione (la Grecia) e la nostra (l’Egitto) e tutte quelle che stanno al di qua dello stretto...". Questo racconto sembra una rievocazione della lega dei popoli del mare che aggredirono l’Egitto. Ma questi avvenimenti sappiamo che avvennero intorno al 1200 a.C., mentre Crizia, ripetendo il racconto udito, parla di 9000 anni dalla morte di Socrate, quindi di 9399 anni prima di Cristo. A quell’epoca siamo da poco usciti dal paleolitico superiore e pertanto la data non quadra affatto con la descrizione che Crizia fa di Atlantide, dove parla di armi di bronzo, di cocchi e di triremi, tutte cose che vanno riferite all’età del bronzo. Potrebbe esserci un errore di scrittura, cioè uno zero in più, ma è molto più probabile che il sacerdote di Sais intendesse parlare di 9000 mesi e che Solone abbia invece inteso 9000 anni. Contare per lunazioni in quel periodo, specialmente in Egitto, era abbastanza comune. Un esempio eclatante ci viene dalla Bibbia che attribuisce ai patriarchi età inconcepibili. Ad esempio in Genesi sta scritto che Seth visse 912 anni, Jared 962, Methushelah 969. Da queste date si capisce che il modo di calcolare il tempo era diverso dal nostro. Questo modo di contare non era raro neppure nel Medioevo. Lo usa anche Dante nell’Inferno quando fa dire a Farinata: "Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia della donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’arte pesa". Gli sta predicendo il suo esilio che avverrà prima che passino cinquanta lune. Secondo il calcolo fatto da Frau, se consideriamo mesi gli anni di cui parla il sacerdote di Sais, giungiamo proprio a ridosso del periodo in cui i popoli del mare invasero l’Egitto e quindi al periodo in cui si verificarono nel Mediterraneo i terrificanti cataclismi che indussero molti abitanti ad abbandonare la propria terra. Riportando la data a questo periodo diventa comprensibile il fatto che Platone parli di armi di bronzo, di cocchi e di triremi riguardo ad Atlantide. Questa storia, almeno fino ai tempi di Platone, doveva essere ritenuta una storia vera, tramandata oralmente come era d’uso, e più tardi divenuta mito.

Tante persone pensano che i miti antichi siano pure fole. Ma così non è. Anche Troia, prima che Schliemann la scoprisse, era una città leggendaria.

Scrive Louis Godart: "Le vecchie leggende affondano le loro radici nella storia ed è certo che alla base di qualunque mito narrato dagli antichi vi è una verità storica che la critica moderna deve tentare di ritrovare e spiegare".

E’ opportuno a questo punto esaminare alcuni miti assai antichi (che certamente Frau non conosceva, altrimenti li avrebbe usati a supporto delle sue tesi), per vedere se è sopravvissuto nella memoria popolare qualche ricordo, sia pur vago, che in qualche modo possa allacciare la Sardegna all’isola di Atlantide.

Pietro Lutzu, un folklorista sardo che visse tra l’800 e il ‘900, raccolse varie leggende quando ancora il popolo le raccontava come storie locali, trasmettendo una cultura non scritta. Egli scrive che esistevano a Riola, un paese del Campidano d’Oristano, non distante dall’antica Tharros, diverse varianti d’una leggenda detta "S’Onnigazza", di cui raccolse e pubblicò una versione nel 1884.

Esaminando il nome, che è poi anche un toponimo di quella zona, si può pensare che S’Onnigazza o Donnigazza indichi una delle "donnicalias" o "curtes" medievali di cui parla il Solmi. Ma tutto lascia pensare che con questo termine, che significa la signora del luogo, si volesse rendere nel medioevo un nome molto più antico, rimasto in altre località della Sardegna, cioè Medusa, che significa ugualmente signora, sovrana del luogo, colei che domina (dal greco médusa).

Secondo la leggenda del Lutzu, S’Onnigazza a Riola era una grande signora, assai potente e temuta in tutto il territorio. Poiché era ricchissima, alcuni ladri tentarono di derubarla, ma non era possibile perché si rendeva invisibile con le sue arti magiche.

Per non essere derubata, la signora aveva fatto cingere tutta la sua abitazione, che era circondata da un grande giardino, con larghissimi fossati profondi circa 15 metri, i quali restavano pieni d’acqua sia d’inverno che d’estate.

Però, non potendo neppure lei uscire di casa, continua la leggenda, ogni domenica si recava ad ascoltar messa percorrendo un tunnel sotterraneo che lei stessa s’era fatto scavare.

Se questa leggenda si ripulisce dalle incrostazioni medievali, ben rilevabili dal nome e dall’andare ad ascoltar messa, resta in nucleo primitivo del mito: una sovrana potente e temuta, che viveva nel territorio di Riola, quindi vicino al mare, in una grande casa alla quale i ladri non potevano accedere perché circondata da grandi fossati pieni d’acqua, profondi 15 metri. Si potrebbe pensare a castelli medievali circondati da fossati e muniti di ponti levatoi. Non risulta però che in Sardegna vi siano stati castelli del genere.

Parlando invece di Atlantide, Crizia così racconta: "Poseidone, che aveva ottenuto in sorte l’isola di Atlantide, pose in un determinato luogo di quest’isola i propri figliuoli generati da una donna mortale (Clito)... il dio fortificò e tutto intorno scoscese l’altura sulla quale ella viveva, creandovi cinte di terra e di mare, piccole e grandi, alternativamente le une intorno alle altre. Due ne fece di terra, tre di mare... sì che fossero ovunque ad uguale distanza, tanto da rendere quel luogo inaccessibile agli uomini. Fu lo stesso Poseidone ad abbellire il centro dell’isola... Dal sottosuolo fece scaturire due sorgenti, l’una calda e l’altra fredda e dalla terra fece spuntare in abbondanza ogni sorta di piante nutritive...".

In entrambi i racconti si riscontrano tre punti in comune: l’inaccessibilità del luogo, i fossati che circondano l’abitazione, la donna sovrana.

Torniamo ora al nome Medusa. In Sardegna ritroviamo questo nome in alcune leggende e Medusa è sempre la signora del luogo, potente e ricca di tesori. A Samugheo, sempre nell’Oristanese, c’è il castello di Medusa. Un altro castello con questo nome si trovava a Lotzorai. Intorno al castello di Medusa, che si trova nel territorio di Samugheo, si intrecciano antichissime leggende, in una delle quali si dice che il castello era collegato con un passaggio sotterraneo a Fordongianus, dove scaturiscono le sorgenti d’acqua calda. Questo castello è chiamato anche Sa ‘omu de Orgìa, la casa di Georgia. Sulla rocca dove viene indicato si trovano i resti di una fortezza bizantina, ma c’è da chiedersi cosa c’era prima che i bizantini vi stabilissero quel presidio. Da un disegno eseguito da Vittorio Crespi, nel 1861, si intravvede la pianta di una costruzione che forse era a megaron, quel tipo di costruzioni che rimandano al periodo miceneo, come rimanda anche il nome di Medusa. Invece l’altro nome del castello, Sa ‘omu de Orgìa, rinvia subito alla notissima costruzione a megaron che si trova a Esterzili. Di questi mégara ce ne sono diversi in Sardegna e quasi tutti come impianto iniziale sono riferibili all’incirca al XIV-XIII secolo a.C., vale a dire al periodo in cui i Micenei trafficavano nel mare dei Sardi.

Si parla spesso di scambi commerciali quando ci si riferisce alla ceramica micenea trovata in numerosi siti sardi, ma se si trovano anche vari templi a megaron si dovrebbe parlare di stanziamenti veri e propri.

E’ interessante il fatto che tutte le leggende che riguardano Medusa la vedano impegnata a combattere contro genti che provengono dal mare.

In una leggenda che si narra ad Orune, Medusa era la signora del luogo. Dopo la morte del padre Urcheddu o Furcheddu (da Forco), è lei che guida la sua gente, ma perde la guerra e viene uccisa in battaglia. Il Fara, nel suo libro "De rebus sardois" (1580), comincia la storia della Sardegna partendo da Forco, padre di Medusa, la quale gli successe nel governo dell’isola. Forco era il re del mare e governava la Sardegna come Poseidone, dio del mare, governava Atlantide.

Secondo il Fara, Medusa affrontò Perseo che aveva preso le armi contro di lei, ma fu uccisa in battaglia. Ci troviamo dunque tra i miti micenei, perché Perseo proveniva da Argo e divenne re di Tirinto e Micene.

Ma mentre nei miti greci Medusa è una gorgone, nei miti sardi appare come una regina bellissima e coraggiosa che combatte per la libertà del suo popolo e dopo la sua morte viene adorata come una dea. Il Fara, essendo una persona dotta, ben conosceva il mito greco di Medusa gorgone, tanto diverso da come veniva narrato in Sardegna. Pensa perciò che quel mito sia stato stravolto dai Greci per valorizzare il coraggio di Perseo e pertanto, scrive nella sua storia che la testa crinita di serpenti, che in Grecia si attribuiva a Medusa, era una fola inventata per esaltare l’impresa dell’eroe miceneo.

Ci troviamo quindi di fronte a una storia vista dalla parte del vincitore.

Secondo la tradizione greca Medusa abitava nell’estremo Occidente, nei paesi iperbòrei del Settentrione e qui si era recato Perseo per combatterla. Ma poiché in tutti i miti sardi dove Medusa compare si dice che era la regina di questi luoghi, anzi il Fara precisa che regnò per 28 anni, come tramandavano gli antichi, è da presumere che i paesi iperbòrei che venivano indicati nell’estremo Occidente, altro non fossero che la Sardegna con le isole vicine. E’ chiaro che ci muoviamo entro il mito, e che i miti vanno considerati con molta cautela. Ma il fatto che questi miti siano rimasti legati ad alcuni toponimi sardi, rende più credibile l’ipotesi che la mitica Atlantide potesse davvero essere l’antica Sardegna.