Home > Atlantikà > Una mostra, le prove > Zigzagando la Sardegna. Un’avventura insolita..., di Giovanni (...)

Zigzagando la Sardegna. Un’avventura insolita..., di Giovanni Manca

venerdì 21 gennaio 2005

Ci voleva la spinta forte di Sergio per farmi decidere a raccontare, qui e ora, questa nostra avventura sulla quale mi riservavo di intervenire, con calma, appena sedimentati gli innumerevoli spunti di analisi che continuamente stimola.

Ma riflettendoci, è giusto e opportuno che in questo catalogo la mia presenza sia una testimonianza più coinvolta della semplice firma in calce.
D’altronde la mostra è nostra: di Sergio e mia. Nostra...
Anche se il cuore dell’opera è tutto suo, e il mio ruolo avrebbe potuto rimanere quello di coordinatore e aiutoregista al servizio di una magnifica sceneggiatura. Invece si è da subito trasformato in qualcosa di più, nel modo che racconterò più avanti, parlando di questa bella storia ancora tutta da sviluppare. Infatti di vera avventura si tratta, che da subito si è evoluta da semplice rapporto professionale a un’amicizia dalle mille sfumature e di forte coinvolgimento intellettuale e personale e che sul piano più generale ha smosso convinzioni e esperienze date per scontate.
Ma - come si dice nei migliori e peggiori racconti di letteratura popolare - occorre fare un passo indietro, non prima però di aver ringraziato gli amici artefici dell’incontro che ha dato il via a tutto questo: Clara Murtas e Marco Veloce che con intuito e lungimiranza hanno da subito indovinato le potenzialità e la positività della connessione tra due modi affini e complementari di visione e operatività.
Quando su suggerimento di Clara nella primavera del 2002 Sergio Frau mi ha contattato la prima volta in quanto distributore per la Sardegna, mia attività principale accanto a quella di organizzatore di eventi culturali e di editore, accennandomi con mille prudenze e grande riservatezza, dovuta all’accordo con “La Repubblica” per l’anteprima, di una ricerca che aveva appena terminato (e che la Nur Neon - una casetta editrice di Roma nata apposta per tener segreto il tutto - l’avrebbe pubblicata), lo conoscevo, lo seguivo e lo stimavo. E anche se più volte mi ero detto che il suo lavoro - in cui irrompeva sempre più spesso una Sardegna antica mai prima letta così, con quelle aperture di squarci inediti e affascinanti e con quella partecipazione che tracimava nella sua scrittura ricca e articolata - avrebbe dovuto produrre qualcosa di più approfondito di articoli che stuzzicavano sì l’appetito, ma lasciavano il disagio di una degustazione interrotta appena si arriva alle leccornie migliori, non pensavo affatto alla possibilità di avere tra le mani un suo libro da “lavorare”, anche se in questo mestiere ricco di occasioni e sorprese mi sono convinto che quasi tutto è possibile. E a volte succede davvero...
Infatti all’interno di quel rimanente 10% di libri che fortunatamente reggono in piedi questo valore aggiunto al mestiere editoriale è rarissimo (e a volte non capita proprio mai) in un’intera carriera di incappare in qualcosa di veramente speciale che travolga tutte le convenzioni e i meccanismi tecnici che normalmente si danno per scontati, le convinzioni più profonde, maturate nel mio caso in 26 anni di attività. Insomma: qualcosa che faccia saltare tutti i parametri sui quali un buon operatore editoriale fonda la sua professionalità. Ebbene: nel caso de “Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta” di Sergio Frau questo invece è successo. Con enorme piacere mi sono trovato tra le mani quello che per noi del mestiere è l’equivalente del ritrovamento del Graal per gli esoterici.
Nelle successive telefonate scoprivo che grande affabulatore è Sergio. E la forza della sua idea che racconta di questa Sardegna antica ma nuova, potente ma tragica... E poi, finalmente, mi è arrivata una copia pilota del libro e ho cominciato immediatamente a leggerlo (anche perché Sergio, tra le sue caratteristiche, ha quella di essere estremamente insistente e convincente quando ha a che fare con qualcuno sulla cui opinione e collaborazione conta particolarmente). Per cui è stata una lettura anche questa diversa dal solito con il piacevole immergersi nell’affascinante testo e, contemporaneamente, discuterlo - capitolo per capitolo - con l’autore. Ed è finita come non poteva finire altrimenti: con me invischiato completamente.
Altri, tantissimi ormai, hanno scritto, preso posizione, recensito e dibattuto con autorevolezza sul contenuto del libro: accademici, giornalisti, specialisti della materia, come documenta la rassegna stampa che vedo crescere costantemente da due anni - mese dopo mese - le fotocopie di articoli e saggi che si accumulano con una stupefacente regolarità. E tutte parlano dell’importanza del libro, della giustezza della teoria, di questa nuova visione del mondo antico e della geopolitica del Mediterraneo che molto spiega e fa giustizia di rimozioni e lacune nella mappa teorica che finora ci ha spiegato com’era quel mondo. Non a caso nel recente sondaggio che la trasmissione radiofonica cult per gli amanti dei libri e dell’approfondimento culturale “Fahrenheit” ha svolto tra i suoi ascoltatori per stabilire i libri da loro ritenuti più importanti per capire il mondo mediterraneo, accanto a quello fondamentale di Braudel e a pochissimi altri titoli, è comparso “Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta”. Per questo non entrerò nello specifico del testo rimandando ai giudizi in catalogo e alla rassegna stampa presente in mostra.
Parlerò, piuttosto, di cosa questo libro ha prodotto e sta producendo, con un effetto quasi magico, come se fosse un singolare vaso di Pandora dal quale erompono entusiasmi, ricerche, spunti dei quali si intuiscono le enormi potenzialità. E parlerò della Sardegna e della gente sarda che ha adottato, coccolato e fatto crescere questo libro come una cosa finalmente importante che li ha rimessi in gioco.
Torniamo al racconto per esaurire la parte dedicata al fenomeno editoriale, al caso da manuale che, da subito, questo libro è diventato. E che verrà analizzato a lungo: sicuramente - ci scommetto - verrà avviata qualche tesi di laurea in economia o marketing o sociologia o analoga disciplina che, prima o poi, si occuperà di studiare i numeri che velocemente riporterò perché - come ho detto nell’incipit a questo pezzo - è ancora materia tutta in divenire questa, sulla quale occorrono ancora dati fermi. Però alcune cose si possono e si debbono dire altrimenti si rischia di non capire appieno la portata del fenomeno.
Stavo ancora finendo il libro che abbiamo cominciato a parlare della sua promozione e distribuzione.
(Anche qui è necessaria una piccola digressione per capire un’ulteriore anomalia: normalmente qualsiasi autore farebbe carte false per approdare nel mercato editoriale dalla porta principale, la più lussuosa e sotto i riflettori, spinto e appoggiato da quelle macchine da guerra mediatica che sono diventati i pochi colossi dell’editoria italiana; ho sentito tantissimi aneddoti, qualcuno anche vissuto di persona, che danno la misura di come non ci siano limiti per cercare di ottenere questo risultato, figuriamoci un professionista della scrittura, firma autorevole delle pagine culturali di Repubblica, che secondo logica di convenienza, opportunità e diritto di fama potrebbe facilmente, come gran parte dei suoi colleghi di pari autorevolezza, pubblicare senza fatica e compromessi con questi big editoriali e che, invece, sceglie di uscire con una casa editrice esordiente al suo primo titolo, rinunciando all’appoggio della massa critica di manager, uffici commerciali, uffici stampa, strutture distributive, pubblicità che ormai impongono, fanno e disfano a loro piacimento il successo di un titolo, e invece sceglie di gestirsi da solo tutto quello che in termini di comunicazione e di visibilità è indispensabile e giusto e serio, per non fare naufragare un libro nel mare magnum dell’editoria italiana che - ricordiamocelo - sforna più di 20000 novità all’anno delle quali solo una percentuale minima arriva ad un numero decente di lettori).
Quindi una prima anomalia spiazzante da cui discendeva il problema di affrontare il mercato con l’handicap, sì, delle piccolissime dimensioni, ma anche col vantaggio della rapidità, libertà e maneggevolezza del vascello corsaro rispetto alle grandi corazzate. Abbiamo perciò parlato con attenzione di tiratura e per quanto mi riguardava direttamente del possibile assorbimento nel mercato della Sardegna, ho ipotizzato come primo obiettivo importante e realistico una cifra intorno alle 1000 copie in prima uscita, convinto com’ero che la qualità del libro e l’impatto dell’argomento avrebbero portato nel tempo ad un risultato che poteva in maniera iperottimistica e un po’ azzardata, credevo, arrivare persino a un risultato di 3000 copie che, comunque, secondo gli standard e l’esperienza sarebbe stato qualcosa di notevole.
Alcuni dati per capire i parametri: stiamo parlando di un saggio di 672 pagine, magnificamente scritto ma difficilmente incasellabile, a cavallo tra archeologia, mitologia, storia delle idee, cartografia, zeppo di fonti antiche, nomi, personaggi. Insomma una lettura assai impegnativa, corposa e difficile (in un mondo dove gli editors delle case editrici raccomandano agli autori di sfornare libri di massimo 200 pagine, sintetici, con meno dati e apparati possibile: “I lettori rifiutano di perdere tempo... E aborriscono le cose difficili...”), dal conseguente costo di 30 euro. Quindi in quella fascia di prezzo medio-alta dove si verifica il crollo più pesante delle vendite in un settore perennemente in crisi. Apparentemente, dunque, un tipico saggio da mercato universitario o per la fascia più elitaria di fortissimi lettori, parametri che sostanzialmente portano a decidere tirature nazionali che oscillano dalle 1000 alle 5000 copie (con aspettative di vendita che vanno dalle 500 copie del testo universitario alle 3/4000 del risultato più lusinghiero). Applicando matematicamente l’indice di assorbimento standard del 2% della Sardegna rispetto al resto del territorio nazionale il risultato del libro sarebbe dovuto essere quindi di un centinaio di copie. Sapendo però che la Sardegna è un’isola felice (altro indizio di una specificità unica come tante altre rintracciate da Sergio Frau nel suo lavoro?), per quanto riguarda la sua editoria regionale rivela un vivacissimo fermento di case editrici, autori, titoli, buone vendite e lettori forti, attenti, appassionati che permettono risultati eccellenti e giustificavano la mia ottimistica previsione di risultato regionale.
Appena iniziata la distribuzione tutto si è messo in moto all’improvviso, a sorpresa, come in quelle gags da commedia televisiva quando inaspettatamente si mettono a girare gli indicatori numerici di un tassametro o analogo aggeggio, sempre più vorticosamente, accumulando numeri davanti ad uno stupefatto utente. Era partito il passaparola: vero motore del successo di un libro. La Stampa nazionale - all’inizio con le anteprime di Repubblica, poi con la raffica di autorevoli recensioni in importanti giornali, dopo ancora i servizi televisivi in reti nazionali e locali, la stampa sarda che ha immediatamente capito l’importanza del lavoro e gli ha dato il giusto spazio, e le copie vendute in Sardegna da 1000 sono diventate 2000 e poi 3000 per arrivare nel giro di 5 mesi a 5000. Un bestseller di eccezionale portata, qui da noi: come dire, applicando la formula del 2%, 250000 copie nazionali. Poi, normalmente, il fenomeno del bestseller si assesta per imboccare il lato calante della curva commerciale. Solo in qualche fortunato caso - considerando che, ormai, le rilevazioni statistiche attestano che la vita media di un libro sui banchi delle librerie è ridotta a circa due/tre mesi - continua un costante venduto che permette di assegnare a quel titolo la “medaglia di longseller”.
Ma non l’avevo mai visto un longseller che - arrivato alle 8000 copie a fine del 2002 - poi continua con lo stesso ritmo per tutto il 2003 e ancora nei primi sei mesi del 2004. Insomma una galoppata ininterrotta di 2 anni. Quindi non sono solo i Bruno Vespa, le barzellette di Totti o - nei casi migliori - un buon romanzo di Stephen King a dominare l’olimpo dei lettori, o forse molto dei risultati delle classifiche dei libri più venduti dipende solo da quello che l’industria editoriale ritiene di propinare, ma anche questo è un ulteriore spunto di riflessione che “le Colonne” (come ormai affettuosamente noi del mestiere chiamiamo il libro di Frau) ci regalano.
Chiudo questa parte, tutta dati e percentuali, con un’ultima nota stupefacente, una vera sfida alle leggi della natura editoriale, apprezzabile in pieno solo dagli addetti ai lavori, gli unici a conoscere quell’autentica bestia nera di ogni libro che è la resa (e cioè il mesto ritorno dei libri invenduti ai magazzini degli editori). Si spera di solito di restare - nel migliore dei casi - all’interno del fisiologico 30% sulle copie distribuite. E infatti se si arriva intorno al 15% di reso si brinda al successo. Ebbene, nel nostro caso, anche qui per la mia prima volta - a parte poche decine di copie difettose tipograficamente - la percentuale di reso a distanza di 2 anni si aggira sullo 0,001%: praticamente inesistente. Questo dato suggella definitivamente quello che sin dall’inizio ho definito uno “straordinario caso editoriale”.
Posso ora passare alla parte più seducente di questa storia. E raccontare della gente di Sardegna e di come ha fatto crescere questo “caso editoriale”... Ho già detto che - senza il passaparola e il misterioso tam tam tra i lettori - nessuna strategia di marketing o campagna di stampa può arrivare a creare un simile risultato. E infatti qualcosa di forte è successo: un impetuoso meccanismo si è messo in moto. Qualcosa di profondo è salito in superficie: per usare categorie della psicanalisi è come se un sentimento rimosso fosse riaffiorato improvvisamente. O come se un velo si fosse alzato permettendo di guardare nel giusto ordine tutti i tasselli di un puzzle millenario fatto di tante tessere meravigliosamente perfette ma oscurate e confusamente affastellate in secoli di storia vissuta in negativo e faticosamente. Secoli dedicati a tentare una ricostruzione della identità di una sardità che non è ancora riuscita a riconciliarsi con l’importanza delle sue origini nonostante tutti gli indizi che lì, sotto gli occhi di tutti, aspettavano di essere ricomposti in una visione unitaria.
E questo è tanto più vero in quanto sono stati davvero molti i lettori che hanno dichiarato di aver avuto, nel leggere il libro, la sensazione di avere finalmente rivisto con chiarezza molte cose che più o meno inconsciamente intuivano.
In ogni avventura che si rispetti ci deve essere sempre il viaggio. E qui un viaggio c’è stato: e che viaggio! La Sardegna vera percorsa in tutte le sue regioni e la gente di Sardegna con l’entusiasmo di avere finalmente l’occasione di partecipare e dibattere in prima persona temi fino a ieri esclusivo terreno di caccia di elitarie accademie e mentre scrivo mi vengono in mente alcune sequenze del bel lavoro di Gianfranco Cabiddu “Sonos e memoria” quando fa scorrere una lunga carrellata di facce sarde. E rivedo le tante facce della nostra gente memorizzate nelle decine di incontri con i lettori ai quali ho accompagnato Sergio con un piacere personale e partecipazione emotiva ben al di là dell’interesse professionale e ben oltre l’atmosfera alla quale ormai -dopo centinaia di presentazioni di libri, incontri con l’autore, reading e quant’altro mi è capitato di organizzare per mestiere, molti di questi peraltro importanti e gratificanti - ero abituato. Ma questa è stata la prima volta che ho visto una iniziativa solitamente solo di promozione libri, trasformarsi in qualcosa di così coinvolgente tanto da non poter dire di no a nessun invito, anche se già sapevamo che, dal punto di vista dell’incremento delle vendite, non avrebbe portato granché. Se infatti gli incontri con l’autore solitamente servono a vendere qualche copia in più e a gratificare il lettore nel vedere lo scrittore e collezionarne l’autografo, qui la richiesta di incontri con Sergio Frau è stata assolutamente travolgente in termini di quantità e qualità. La gente voleva parlare, confrontarsi, far conoscere ricerche, luoghi, capacità: per questo non si è potuto e voluto dire di no. È stato un godibilissimo atto di ringraziamento dovuto ai tantissimi lettori. Ed allora eccole le migliaia di chilometri macinati per incontrare migliaia di persone, ecco le facce de su populu sardu, la vera gente sarda, tutta trasversalmente incontrata: i vecchi e i giovani, gli studenti e i docenti universitari e medi, le donne di ogni ceto sociale, autodidatti, ricercatori, il manager appassionato di archeologia e il lettore che - qui rubo un gustoso aneddoto a Sergio - gli scrive una lettera di segnalazioni coltissime e conclude che gli chiederà i danni per i guai che hanno combinato le sue pecore mentre leggeva le Colonne d’Ercole... E i sindaci, gente vera, e i tantissimi che conoscono tutte le meraviglie del proprio territorio meglio di qualunque specialista. Senza di loro non avrei mai visto così la meraviglia del monte S. Antonio a Siligo con quelle imponenti rovine che dominano sul Meilogu e in giorni tersi spaziano sino ad Olbia affascinanti quanto le rovine Maya; o quella collina a Sorgono, centro geografico della Sardegna, imbottita di resti non scavati e con molti menhir semiaffioranti dal terreno passando sulla quale ho avvertito la sensazione fortissima di calpestare un luogo di sacralità ancestrale una sorta di luogo sciamanico; o i carnevali finalmente vissuti dietro le quinte insieme ai protagonisti e le feste e i cibi che tutti come sempre offrono ma questa volta con una appassionata voglia di raccontarli. Tutte conferme di una cosa che già sapevo ma non pensavo così capillarmente diffusa e trasversale a ceti sociali e status economico: la competenza, cultura e conoscenza dei Sardi rispetto alla propria storia e tradizione veniva fuori accompagnandoci nei siti, descrivendocene i segreti ancora in gran parte inesplorati, nel presentare ricerche entusiaste, studi, raccolte inedite... Un enorme tesoro di materiale che attende di essere approfondito, connesso in un quadro più complessivo e tutto presentato con la gratitudine di chi vede nel lavoro di Sergio finalmente dispiegata la Sardegna in una grande visione di insieme: come se finalmente questa lettura dell’antico Mediterraneo restituito alle sue vere rotte facesse giustizia di una secolare idea riduttiva e negativa che secoli di frammentazione hanno prodotto. E i comuni, tanti, toccati in questi straordinari incontri. Cagliari, Sassari, Oristano, Nuoro più volte... E poi Alghero, Perfugas, Tempio, Siniscola, Oliena, Sedilo, Ghilarza, Santulussurgiu, Seneghe, Guspini, S. Antioco, Pula, Cabras, Quartucciu... A tanti, purtroppo, si è dovuto dire di no o rimandare perché con tutto l’entusiasmo e il piacere è impossibile - senza una vera grande mobilitazione culturale, scientifica, amministrativa - valorizzare questa enorme potenzialità antropologica e culturale della nostra isola. Ma si tratta solamente di un appuntamento spostato nel tempo.
E ora questa “Atlantikà: Sardegna, Isola Mito”, la mostra cresciuta dentro a questo percorso, attuale tappa dell’avventura, nata parallelamente allo svilupparsi del fenomeno “Colonne d’Ercole”, fenomeno che ci ha regalato così tanto materiale che sarebbe stato un grande spreco non farlo sbocciare nel bel risultato sotto gli occhi di tutti.
Anche per questa fase mi piace sottolineare che quando si mette in moto un meccanismo di questa portata le occasioni di incontro, arricchimento e sviluppo si creano e incastrano quasi da sole come se una calamita attirasse e connettesse capacità, energie, talenti e potenzialità positive che si tratta di saper cogliere e indirizzare. E, quindi - mentre ancora si discuteva con Sergio di come rendere visibile e fruibile oltre la platea dei lettori e degli addetti ai lavori che pur eccezionalmente numerosi in questo caso sono comunque una fascia limitata delle persone interessate a questi temi, in particolare ragionando di come si può raggiungere quelli che Sardi non sono e in Sardegna arrivano senza sapere in che bella terra, ricca di storia e grande preistoria, ambiente, feste, colori, costumi, sapori e sapienza popolare sono capitati - una mostra ci è sembrata lo sbocco e il medium più adatto. Tanto più che l’idea di mostra che si è andata delineando si è rivelata qualcosa di nuovo e diverso rispetto all’ordinaria progettazione di un’esposizione tradizionale con pezzi archeologici a rischio e bellurie inutili. E anche la collocazione che da subito si è pensata - un luogo aperto e di transito come il porto, la stazione e infine quella dell’aeroporto, per un così insolito e complesso allestimento - ci ha permesso di raggiungere un pubblico il più ampio e trasversale possibile.
E originale e innovativa lo è davvero “Atlantikà”. Innanzitutto perché è un cantiere aperto costituito al momento da un grande corpo centrale che evitando un eccesso didascalico presenta - oltre a mappe antiche e modernissime e altri “materiali di lavoro” - una precisa e puntuale documentazione delle tesi di Sergio Frau e contemporaneamente sviluppa una narrazione poetica, scandita da fotogrammi montati in un lungo e lineare racconto che in una progressiva successione di capitoli incastona le immagini della Sardegna più vera e ancora poco conosciuta, scattate dai bravi fotografi Cubeddu, Farris, Garbati, Marras, Ruiu e che contemporaneamente apre squarci di filoni che potranno essere sviluppati e arricchiti dal nuovo materiale che costantemente si addensa. Infatti nei mesi di progettazione e preparazione della mostra sono state tantissime le immagini che abbiamo visionato - migliaia, per sceglierne 120 - selezionando quelle più adatte al nostro copione, scartandone di belle e bellissime perché non strettamente funzionali al montaggio e al discorso mentre il tutto cresceva in corso d’opera con i salti imposti dalla professionalità sulla comunicazione di Sergio: sua l’idea del grande montaggio 8x4, realizzato con Laura Montelli, che apre con un bell’impatto visivo il percorso della mostra. La Nave Nuragica è un bastimento che, per la prima volta, fa vedere anche i bronzi (capolavori di una magnifica statuaria ancestrale spesso trattati nei nostri musei come piccoli personaggi di improbabili presepi da visionare lontani in fredde bacheche che ne appiattiscono gli stupendi particolari) che, invece in mostra son saltati fuori in tutta la loro ricchezza. E anche complessità: grazie alle ricostruzioni dei pannelli di Angela Demontis e alle 22 sagome alte 1,80 metri, sparpagliate nell’aerostazione ad altezza d’uomo, è stato possibile rendere immediatamente percepibile a sguardi contemporanei l’impatto e la maestosità di questo Popolo del Bronzo, in tutta la sua magnificenza. Finalmente si comunica l’emozione di cosa potesse rappresentare agli occhi di un’etnia altra lo sbarco in armi da una nave nuragica in una qualsiasi spiaggia del Mediterraneo antico.
E anche l’approdo all’aeroporto Mario Mameli di Cagliari - porta principale di accesso alla Sardegna - è stata una opportunità felice, una perfetta coincidenza magnetica di tempi e esigenze con la Sogaer azienda di gestione di questa bella, moderna, luccicante infrastruttura che intelligentemente si poneva il problema di valorizzarla aprendola ad una fruizione meno frettolosa di quella del passeggero che sgattaiola via appena arrivato o che annoiato ciondola in attesa dell’imbarco e infatti che soddisfazione vestire a festa un classico “non luogo”, prodotto di quella globalizzazione che secondo i sociologi ha ormai uniformato tutti gli spazi del consumo collettivo riducendoli ad un indistinto ripetersi all’infinito delle stesse icone indipendentemente dal territorio in cui si collocano e contribuire così a trasformarlo, questo “non luogo”, in una finestra panoramica che introduce al territorio che lo ospita e ne anticipa agli occhi non dei Sardi, (come dice Sergio Frau nell’introduzione della mostra, che sornioni e caratterialmente riservati queste cose le sanno già o quantomeno le intuiscono ma spesso le sottovalutano e sono estremamente reticenti a raccontarle), ma di tutti quelli che per lavoro o per turismo o per le mille ragioni di un viaggio ancora non sanno in che isola straordinaria stanno transitando. L’obiettivo mi pare sia stato raggiunto come si capisce subito stando in disparte ad osservare le reazioni dei visitatori che virano in tante gradazioni dall’interesse svogliato e frettoloso, allo stupore, e all’entusiasmo.
E questa è stata la parte creativa. Ma in tutte le opere conta anche il fare e qui il daffare c’è stato... E tanto, e anche faticoso... Di quella fatica, anche fisica, però, che ti lascia appagato, con un buon sapore in bocca. In tutte le organizzazioni di eventi complessi - dove il nemico è sempre il tempo alleato con gli intoppi accidentali - anche qui rischiavamo di impantanarci nell’inseguire soluzioni approssimative. Invece tutto si è - anche nei momenti più ingarbugliati - dipanato grazie a un impegno fuori dall’ordinario dove tutti quelli che hanno collaborato sono spontaneamente andati molto al di là del dovuto e del pattuito. E le riunioni preparatorie, e le ultime notti tirate fino all’alba, e le rincorse a materiali e soluzioni azzeccate hanno permesso che il meccanismo filasse quasi come un orologio nonostante gli occhi gonfi nostri e di Massimo Faraglia e Paolo Cocco in attesa notturna delle ultime stampe e i grafici Stefano Anedda e Luca Crippa che ci hanno seguito fino all’ultimo in variazioni e aggiunte e Mauro Martinez con la sua Stand Up che ci hanno sfornato il materiale ancora caldo con le macchine al limite della loro capacità. Con tutti - da Ignazio Pinna e Gherardo Gherardini che ci hanno autorevolmente supportato sul fronte del comitato promotore, ad Antonello Concas e tutti gli altri ai quali vanno i doverosi ringraziamenti e che sono citati nell’apposito spazio in questo catalogo - a darci le loro mani d’aiuto.
Per chiudere: come in un gigantesco fall-out dopo la dirompente uscita del libro molto di importante è successo, sta succedendo e tutto fa presupporre che ancora siamo nel momento iniziale di un lungo percorso. La notizia (annunciata a sorpresa dal prorettore dell’Università di Sassari Attilio Mastino) della volontà dell’Unesco di allestire la nostra mostra a Parigi, l’invito di portarla a Sofia (l’ex Sardica, ha rispolverato Sergio frugando indietro nei secoli) e tanti altri segnali di interessamento per ospitarla in importanti realtà fuori dalla Sardegna in Italia e Europa, nuove ricerche che stanno nascendo e sorprese ancora più eclatanti che si annunciano, mi convincono che - tra non molto - un nuovo capitolo dovrà essere aggiunto a questo racconto. Intanto, però, godiamocela una stimolante e piacevole full immersion tra le immagini e i materiali di questa nostra bella “Atlantikà/Sardegna”.