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Azedine Beschaouch: "Ecco perché la Sardegna è l’Isola mitica di Atlante", di Mauro Manunza

venerdì 21 gennaio 2005

Professore, lei è convinto di essere sbarcato sulla mitica Atlantide?
Azedine Beschaouch sorride, ma è solo un cenno veloce delle labbra. Tunisino, archeologo e letterato, Accademico di Francia, è consigliere principale del direttore dell’Unesco per la cultura

. Ieri è stato al centro di un’importante celebrazione nell’Università di Sassari, che ha voluto riverirlo - dopo avergli attribuito la laurea ad honorem - per i suoi cinquant’anni di attività di illustri studi. La sua statura di scienziato è stata tratteggiata dai professori Attilio Mastino e Mustapha Khanoussi. Ma pochi giorni prima l’accademico aveva anticipato la sua visita in Sardegna per poter vedere la mostra Atlantikà che la stazione aeroportuale di Cagliari ha ospitato per tre mesi e per verificare sul campo alcune delle tesi sostenute dal giornalista Sergio Frau nel suo libro Le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta. Tesi rivoluzionarie che attribuiscono alla nostra isola e ai nuragici un ruolo centrale nella civiltà mediterranea del secondo millennio prima di Cristo. Settecento pagine di documentazioni e comparazioni, editore Nur-Neon, otto edizioni, oltre 23 mila copie vendute: una sorprendente ricerca che trova sempre maggior credito negli ambienti specialistici non solo italiani. Tant’è che l’Unesco si mobilita per sponsorizzarla. La mostra appena chiusa ad Elmas sarà a Parigi fra un paio di mesi, dopo una sosta nel Palazzo Boyl di Milis, su richiesta del Gal del Barigadu-Montiferru-Sinis. È appunto in questo territorio che l’inviato dell’Unesco ha svolto nei giorni scorsi un sopralluogo, accompagnato da una dozzina di specialisti di varie discipline scientifiche e dall’autore del libro. Un convegno itinerante alla ricerca di prove.
Dunque, professore, un’escursione sui misteri del lontano passato...
«Penso che grazie a questo libro importantissimo possiamo finalmente dire con grande probabilità che l’Isola di Sardegna sia l’Isola di Atlante. Perché per la prima volta uno studioso ha il merito di collegare tutte le fonti e di spiegarsi non da un punto di vista aprioristico ma alla luce di una lettura analitica. Personalmente, mi piace molto dire che arrivo non solo nella Sardegna di oggi, ma nell’isola del mito».
Una dichiarazione sentimentale?
«Lasciamo il livello romantico e parliamo della storia e della realtà storica. La visione classica è quella di una larga area mediterranea dall’oriente all’occidente estremo (la Spagna di oggi); ma se facciamo attenzione al confronto di fonti su cui si basa il lavoro di Sergio Frau dobbiamo ammettere che quella è una visione tarda nella storia della geografia antica, certamente successiva ad Alessandro Magno. Questi allargò il mondo verso oriente, verso l’India, e conseguentemente si rese obbligatorio allargare lo spazio in direzione dell’occidente, per una questione di bilanciamento. Nel mondo greco classico (nell’età di Platone) la visione del mondo era organizzata simmetricamente ad est e ad ovest rispetto al tempio principale, quello di Delfi, e secondo questa equidistanza l’area mediterranea, che a oriente arrivava ai monti del Caucaso, a occidente si fermava necessariamente a un limite formato dall’odierna Sicilia (nord) e dalla Tunisia (sud)».
Cioè, il limite conosciuto del Mediterraneo era fissato nel Canale di Sicilia: e lì quindi dovevano essere le Colonne d’Ercole, come sostiene Frau...
«Ecco. D’ora in avanti nessuno potrà esaminare il problema delle Colonne d’Ercole e offrire nuove visioni o ipotesi senza appoggiarsi sulle basi solide del libro di Sergio Frau".
Lei è venuto in Sardegna per verificare le teorie di Frau?
"Sono stato in Sardegna tante volte, ma ora son venuto qui perché il settore Cultura dell’Unesco appoggia le ricerche di Frau. Secondo l’Unesco, questa nuova visione rientra nel quadro delle diversità culturali che la maggioranza dei Paesi membri sostiene. Soprattutto l’Italia crede in questa diversità, la cui salvaguardia è una condizione sine qua non per il futuro della cultura. Ma anche per il passato dobbiamo cercare di leggere la storia alla luce di testimonianze sicure sulla presenza contemporanea di culture diverse».
È questo che lei legge nel lavoro di Frau?
«Certamente il grande merito culturale, non soltanto scientifico, del libro di Sergio Frau è quello di sottolineare l’importante ruolo della Sardegna dal secondo millennio sino alla fine del primo millennio avanti Cristo: ruolo dell’isola come punto di incontri della civiltà mediterranea, ma anche tra nord e sud del Mediterraneo. Grazie a questo libro possiamo dare una valutazione solida del ruolo della Sardegna».
Dunque, l’Unesco crede nella ricerca di Frau.
«Sono appunto venuto per confermare l’appoggio dell’Unesco, già affermato dal sottosegretario dell’Unesco per la cultura, il professor Mounir Bouchenaki - inviato tramite Attilio Mastino, prorettore dell’Università di Sassari - per l’inaugurazione di questa mostra il 2 luglio scorso. Sotto il patrocinio dell’ambasciatore dell’Italia presso l’Unesco, Francesco Caruso, contiamo di presentare presto la mostra Atlantikà nell’ambito internazionale, presentando anche il libro di Frau con un dibattito di storici, archeologi, geologi e specialisti del patrimonio».
Qui, come lei saprà, il libro di Frau ha incontrato molto favore nel mondo accademico ma fredda ostilità negli ambienti archeologici governativi...
«Una cosa sia chiara: questo libro ormai non è più sardo né italiano. Adesso è sul piano superiore della ricerca e della cultura universali. Il problema non riguarda le polemiche in Sardegna, ora abbiamo qualcosa di livello ben più alto. Alla luce di questo libro possiamo andare avanti. Dopo questo libro non è più possibile tornare indietro».
Come si definisce l’importanza della Sardegna nei due millenni prima dell’avvento di Cristo?
«Uno dei meriti di questo libro di Frau è appunto l’avere evidenziato la specificità della Sardegna come fenomeno unico, la civiltà nuragica come punto importante della geografia antica e della visione greca del mondo di allora. Voglio dire: non solo della geografia (che è una tecnica), ma della visione del mondo. Platone non era un tecnico della geografia, ma aveva una visione del mondo. Anche i miti sono importanti per la cultura, e ora una parte centrale della cultura del mondo classico va letta alla luce della ricerca di Sergio Frau. È un’eredità che si riversa sui maghrebini, che con la Sardegna hanno un passato comune. Infatti il ruolo della Sardegna come isola importante della geografia e della mitografia (Colonne d’Ercole) abbraccia anche il Nord e il Sud. Quel Nord e quel Sud che adesso hanno bisogno di legarsi per la pace fra i popoli».
Qui l’analisi diventa politica.
«Io non faccio il politico, ma intendo dire che abbiamo bisogno della base culturale, delle radici vecchie e importanti che possono legare i popoli. Finalmente possiamo dire che la diversità culturale della Sardegna ha prove sicure e che quindi la Sardegna ha una base culturale politica. L’isola, che era una cerniera allora, oggi può riprendersi quel ruolo nei collegamenti economici, tenendo conto dei paesi del Maghreb così vicini all’Europa: assai più vicini dei mercati che sembrano espandersi verso Est. L’Italia in questo ha una posizione economico-politica centrale e può assicurare rapporti e legami solidi e duraturi. Nessuno come l’Italia, per il suo passato storico e per ragioni geografiche, può assicurare la pace nel Mediterraneo e quindi nel mondo. E in questa visione del possibile futuro la Sardegna ha una parte politica importante, magari determinante per la spinta che può imporre».
Insomma, la fatica del giornalista Frau si apre a sogni ambiziosi...
«L’importanza della civiltà nuragica è un paesaggio culturale che va letto passo dopo passo, che non va sprecato e che consente anche di sognare. A quel passato ancora in gran parte misterioso bisogna dare un futuro scientifico, storico, culturale, politico e anche emozionale. Anche per questo dobbiamo fare di tutto per la salvaguardia dello spirito della civiltà sarda e della diversità culturale dell’isola-mito».

Pubblicato su “l’Unione Sarda” del 3 ottobre 2004.