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L’Egittologo / Jean Bingen

mercoledì 29 dicembre 2004

Membro dell’Accademia Reale del Belgio.
Pubblicato su "Diogène" numero 204/2003 (Revue trimestrielle publiée sous les auspices du Conseil international de la philosophie et des sciences humaines et avec l’aide de l’UNESCO), con il titolo "De part et d’autre du détroit de Sicile".

Il libro del giornalista culturale Frau è un’inchiesta in tutte le direzioni su un problema a prima vista limitato, "dove si trovavano le Colonne d’Ercole?", un Ercole che fu in realtà un Herakles/Melqart. Come trama: la rappresentazione del limite occidentale del mondo da percorrere - particolarmente nell’immaginario del mondo greco - delle Colonne che si pongono tradizionalmente e senza riserve da una parte e dall’altra dello stretto di Gibilterra.

Il libro è sconcertante per il tono leggero e un po’ sovversivo col quale accumula una moltitudine di parametri di ricerche, dando talvolta il capogiro. Questi innumerevoli contributi, comprese le illustrazioni, costituiscono l’interesse del libro per un pubblico colto che scoprirà nel corso di una lettura coinvolgente numerosi aspetti del mondo greco o preellenico, del mondo fenicio e delle culture periferiche o anche del sostrato geologico. Il loro accatastarsi e l’impulsivo dialogo con il lettore mettono un po’ a soqquadro il modo di procedere strutturato praticato dai ricercatori di stretta obbedienza, ma fanno riflettere.

La tesi dell’autore si fonda su un fatto innegabile: la divisione del Mediterraneo pre-romano in una zona orientale dove predominano quasi esclusivamente le città e le colonie greche arcaiche, poi classiche, e una zona occidentale, che è uno spazio di espansione fenicia. Il limite è forse più complesso, poiché serpeggia attraverso la Sicilia e non si ritrova se non da qualche parte in direzione della Libia. Questa dicotomia ha dato all’autore la sensazione che le Colonne d’Ercole sono state situate all’inizio da una parte e dall’altra del Canale di Sicilia "orizzonte dei Greci da Omero a Erodoto", e che solo più tardi, in epoca ellenistica, ogni sorta di fattori farà sì che le genti porranno le Colonne allo stretto di Gibilterra. L’autore ricorda che in epoca glaciale il livello d’acqua nello stretto era nettamente più basso e non lasciava che uno spazio relativamente stretto tra la Sicilia (che inglobava Malta) e una Tunisia la cui piattaforma sottomarina era largamente scoperta. L’ipotesi di una localizzazione primitiva delle Colonne allo stretto di Sicilia è seducente, e chiarisce la portata di numerose fonti antiche. Ma non mi sembra che la regressione delle terre possa ancora entrare in gioco nel momento in cui il panorama socioeconomico del Mediterraneo comincia a modificarsi alla fine del II millenio a.C. Nello stesso modo, si troverà talvolta che il tono scherzoso dell’autore tratta un po’ brutalmente i cattivissimi Greci e soprattutto le loro fonti letterarie.

L’ipotesi che non può più essere trascurata, ha come corollario l’identificazione della Sardegna come l’Atlantide (trans-colonnare) dei Greci e la valorizzazione, partendo dal suo passato fenicio, del ruolo della Sardegna e della città di Tartesso nel Mediterraneo occidentale preellenico.