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Gli Specialisti / Piero Pruneti e Sergio Rinaldi Tufi

giovedì 30 dicembre 2004

Piero Pruneti, direttore di "Archeologia Viva"; Sergio Rinaldi Tufi, docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università di Urbino.
Pubblicato su "Archeologia Viva", settembre-ottobre 2002.

Le Colonne d’Ercole a Gibilterra? Così siamo abituati a collocarle. Nell’ottica degli antichi Romani, per esempio, al di qua era il Mare Nostrum o Mare Internum; al di là era l’Oceano, un mondo in gran parte ignoto. Ma non è stato sempre così. Per secoli, prima di Alessandro Magno e delle sue incredibili conquiste fino all’Indo, questo mitico elemento di demarcazione fra due mondi era, nel comune sentire degli Antichi, in corrispondenza del Canale di Sicilia. Come è possibile? Che senso aveva questa collocazione? Perché e a opera di chi è avvenuto poi lo "slittamento" fino a quella fatidica imboccatura fra Spagna e Marocco? Nei suoi 43 capitoli, il volume presenta titoli, occhielli, illustrazioni, impaginazione di tipo giornalistico: un incalzante susseguirsi di interviste vere con studiosi contemporanei, di interviste immaginarie con personaggi del passato, di forum, perizie, udienze di tribunale. Un’impostazione "difficile" e insolita, con una trovata finale: "saggi di verifica", o recensioni "a botta calda", con la firma di noti studiosi, come la semitista Maria Giulia Amadasi, il grecista Lorenzo Braccesi, l’egittologo Sergio Donadoni, lo storico delle religioni Sergio Ribichini. A un altro specialista l’architetto Paolo Macoratti, è stato chiesto - vedremo poi perché, e con quali risultati - un dossier sulla situazione geografica ricostruibile per la favolosa Atlantide.

Forse proprio una frase di Sergio Donadoni, decano degli egittologi italiani e accademico dei Lincei, coglie bene il succo di tutto questo lavorìo: «La strozzatura fra Sicilia-Malta e Libia-Tunisia divide il Mediterraneo in due parti ben distinte, tanto geograficamente che storicamente, opponendo un’area genericamente "greca" a una genericamente "fenicia". Che questa strettoia possa rappresentare le più antiche Colonne d’Ercole, il limite di una zona di normale esperienza della marineria greca fino al momento in cui le "Colonne" saranno trasferite laddove tradizionalmente le conosciamo, è intuizione preliminare, la cui dimostrazione avvalorante e le cui conseguenze storiografiche sono il corpo dell’opera». La divisione non era rigidissima. I Greci conoscevano bene anche la parte occidentale del Mediterraneo (il loro Far West, dice Frau), dove avevano fondato per esempio Tartesso: città che gli autori antichi, collocandola nella Penisola Iberica, citano per la sua ricchezza e per la sua intraprendenza commerciale, ma che non è mai stata individuata archeologicamente. E bisogna anche - come scrive nel suo "saggio di verifica" Maria Giulia Amadasi - "capire meglio tempi e modi, ancora oscuri, che condussero i Greci ad adottare l’alfabeto fenicio, facendone cosa loro". Se dunque le relazioni fra i due mondi sono ancora da verificare nelle loro varie sfumature, è però innegabile che alla fine del VI sec. a.C. il più potente e famoso degli insediamenti fenici, Cartagine, «volle calare come una "cortina di ferro" a metà del Mediterraneo, per sbarrare ai Greci la via dell’occidente» (così scriveva il compianto Sabatino Moscati, anch’egli coinvolto dall’instancabile Frau). Alla sorveglianza della "cortina" fu posto Eracle per i Greci (che sarà poi Ercole per i Romani), il corrispondente Milqart per i Fenici. «Della Cortina - leggiamo ancora in Moscati - possiamo ormai seguire la dislocazione dal Capo Bon, su per Pantelleria e Malta fino alla Sicilia occidentale e al territorio sardo».

A proposito della Sardegna: se le Colonne originarie si possono collocare dove ormai sappiamo, forse è proprio in quest’isola che si può individuare nientemeno che la favolosa Atlantide. Crizia, protagonista di un celebre Dialogo di Platone, colloca il Paese perduto oltre le Colonne d’Ercole, e la Sardegna soddisfa questa condizione, risultando poi tanto più credibile in quanto sede, in effetti, di remote, talvolta enigmatiche civiltà. Per giungere a questa conclusione, oltre ad avvalersi della già ricordata "perizia" di Macoratti, Frau organizza un immaginifico forum, cui partecipano, oltre a Crizia stesso, Dionigi di Alicarnasso (autore, alla fine del I sec. a.C., delle "Antichità romane", compendio storico che parte dalle origini del mondo) e anche numerosi specialisti moderni, viventi o scomparsi, che "parlano" attraverso le loro pubblicazioni: Massimo Pallottino, Giovanni Lilliu, Michel Gras e così via. E non basta. Forse gli antichi Sardi sono da identificare addirittura con gli "abitanti delle Isole del Grande Verde" che osarono aggredire il faraone Ramesse III: quelli che alcuni testi egiziani definiscono i "Popoli del mare".

Ma chi e perché ha fatto scivolare le Colonne d’Ercole a quell’angusto passaggio fra Penisola Iberica e Africa? L’accusato è Eratostene, il grande matematico, astronomo e geografo greco di Cirene, vissuto fra 280 e 195 a.C. (nonché direttore della biblioteca di Alessandria d’Egitto, la più grande del mondo antico), che inventò i paralleli e misurò il diametro della Terra. A suo carico Frau organizza un processo, in cui intervengono (sempre "presenti" attraverso le loro pubblicazioni) scrittori di allora e "detective" di oggi. Il limite occidentale del mondo conosciuto sarebbe stato spostato per ristabilire una certa simmetria dopo che quello orientale era stato enormemente ampliato dalle conquiste di Alessandro Magno. Viene individuato, dunque, un movente, ma alla fine il bibliotecario se la cava con un’assoluzione per insufficienza di prove... Una fatica utile quella dell’amico Sergio Frau, attenta ai neofiti della materia, ricca di spunti, riferimenti, suggerimenti, che provoca riflessioni e dubbi, com’è giusto che accada quando si affronta un argomento come questo: antico come la nostra storia.